Dottor Ungherese, ho ricevuto sulla casella di posta elettronica la petizione di Greenpeace: ZERO plastica. Ma davvero si può fare? Ho sempre avuto grande rispetto per le battaglie di Greenpeace.
Questa non le sembra un tantino eccessiva? Segnalare il problema è giusto, ma esistono soluzioni praticabili, alternative agli involucri in plastica?
Quella dell’inquinamento da plastica è una delle emergenze ambientali più gravi dei nostri tempi. Si tratta di un problema complesso che richiede interventi urgenti a differenti livelli. Considerando che la produzione di materie plastiche dovrebbe triplicare entro il 2050 e, di conseguenza, la contaminazione che ne deriva, c’è la necessità di intervenire in modo rapido. Riteniamo che un settore primario d’intervento debba essere quello del monouso: una vera e propria assurdità.
Il 40% della produzione globale di un materiale resistente e indistruttibile serve per imballaggi di breve durata (da secondi a minuti). Ciò determina impatti destinati a durare secoli negli ambienti naturali. Riteniamo che per superare la logica del monouso si debba fare massiccio ricorso a sistemi di vendita basati sullo sfuso e sulla ricarica: qualcosa che la nostra società ha già fatto nei decenni scorsi e non ci sono ragioni per cui non torni a farlo.
Alcune nazioni come la Francia stanno già andando in questa direzione con l’obiettivo di azzerare l’uso di imballaggi entro il 2040. Alcuni provvedimenti del governo francese sono già in atto. Come, ad esempio, il divieto di vendita di frutta e verdura in plastica nei supermercati se in confezioni fino a 1,5 chili di peso. Tale legge permetterà di evitare l’impiego di 1 miliardo di imballaggi ogni anno.
In Europa è stata emanata una legge, non basta? Leggo nella petizione ZERO plastica, che ho firmato: «Dall’Unione Europea vogliamo più di una piccola lista di prodotti vietati. Vogliamo vincoli per tutte le multinazionali e un impegno serio per fermare il traffico di rifiuti non riciclabili verso i paesi del Sud del Mondo». E mi sono chiesto: fermare il traffico di rifiuti non riciclabili verso i paesi del Sud del Mondo? Che significa?
La direttiva europea sulle plastiche monouso è stato un primo grande traguardo. Ma prevede divieti di vendita solo per una manciata di prodotti (cannucce, posate, bastoncini cotonati, agitatori per bevande, piatti, alcuni contenitori in polistirolo e aste per palloncini).
La normativa è carente sul packaging. Flaconi, contenitori e vaschette di vario tipo che avvolgono decine di beni di uso quotidiano come alimenti, prodotti per l’igiene personale e domestico e che rappresentano la parte più consistente del monouso.
Molti di questi rifiuti non vengono riciclati. In Italia, ad esempio, paese in cui esiste un buon sistema di raccolta e recupero degli imballaggi a fine vita, il sistema riesce a trasformare in nuovi prodotti meno della metà di ciò che noi separiamo e differenziamo correttamente nelle nostre case. Riciclare è un dovere di ognuno di no. Tuttavia, non può essere una soluzione, soprattutto considerando che di tutta la plastica prodotta nella storia umana, solo il 10% è stato correttamente riciclato.
Una parte dei rifiuti che oggi il sistema non riesce a riciclare varca i confini nazionali. E in molti casi termina nei paesi del sud del mondo (Turchia, Malesia, Vietnam) non dotati di impianti adeguati allo smaltimento e dove sono sottoposti a pratiche impattanti.
In pratica, tali paesi sono diventati le discariche degli scarti occidentali, inquinando gli ecosistemi naturali con notevoli impatti sulle comunità locali. Questi traffici ledono i diritti umani – incluso l’accesso all’acqua, l’aria e un ambiente pulito – recentemente riconosciuti da una risoluzione delle Nazioni Unite.
Di fronte a un problema sempre più grande, constatiamo il fallimento di aziende e governi in tutto il mondo nel saper affrontare concretamente il problema. Complice l’assenza di regole comuni in ambito internazionale. In occasione della prossima assemblea sull’ambiente delle Nazioni Unite, c’è la concreta possibilità che inizino i lavori per un trattato globale sulla plastica.
Noi ci auguriamo che si arrivi, in tempi brevi, a un trattato legalmente vincolante che non solo azzeri l’inquinamento ma affronti le varie problematiche legate all’intero ciclo di vita della plastica.
Per firmare la petizione clicca qui: petizione.