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Ambiente è ora, più che mai, una cosa pubblica

Ancora una volta la Costituzione si fa interprete di cambiamento e futuro

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Dottor Correggia, l’8 febbraio 2022 è una data da incorniciare sul calendario.

Il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani parla di «giornata epocale. La tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi diventano un valore fondante della nostra Repubblica». L’Ambiente entra nella Costituzione, significa che da oggi in poi anche l’Ambiente avrà il diritto della maiuscola.

Perché secondo lei è una buona notizia, ritardata magari, ma molto buona?

«L’ingresso all’interno dell’articolo 9 della Costituzione del concetto che richiama la centralità fondamentale e il valore inerente dell’ambiente, della biodiversità e della rete vitale degli ecosistemi rappresenta un fatto davvero importante. Di grande portata giuridica, culturale, epistemologica, etica e ideale.

È del tutto vero che sancire questo principio non produrrà nell’immediato ricadute positive ed effetti virtuosi sulla costellazione interconnessa dei sistemi viventi, mai come oggi saccheggiata in profondità e portata vicino al collasso irreversibile. Così come è vero che altri articoli della legge fondamentale della nostra Repubblica, nonché specifici pronunciamenti della Corte Costituzionale, avevano già messo in evidenza l’importanza prioritaria e la necessità indifferibile della tutela ambientale.

E soprattutto è vero che la formalizzazione di questo assunto genererà effetti significativi e incisivi soltanto se seguita da leggi e norme attuative concrete, vincolanti e cogenti. Senza le quali rischia di restare lettera morta e di avere addirittura un sapore beffardo.

Tuttavia, avere scolpito tra i principi fondanti della Costituzione il valore superiore e non negoziabile della scansione di reti, flussi e architetture in cui si risolve la natura vivente configura un punto di non ritorno.

D’ora in avanti, ogni azione che andrà a confliggere frontalmente con la biodiversità e la qualità degli ecosistemi non sarà solo un fatto grave ed esecrabile in termini razionali, bioecologici e morali. Sarà anche et ante omnia un comportamento anticostituzionale».

Di solito è il Legislatore a instillare e suscitare una certa sensibilità alla pubblica opinione, al popolo. Questa volta si ha l’impressione sia successo il contrario. Che ne pensa?

«Sì, credo che sia il legislatore ad aver inseguito un umore diffuso e una consapevolezza generale. Viviamo in un mondo stremato e messo alle corde da patologie sistemiche di una gravità spaventosa.

Perdita di biodiversità, inquinamento chimico-fisico, global warming, acidificazione degli oceani, deforestazione, desertificazione, cementificazione e impermeabilizzazione del suolo. Ma anche carenza idrica globale, distruzione di habitat terrestri e marini, agricoltura chimica, overfishing, soffocamento dei mari nella plastica e sovrappopolazione stanno perturbando in profondità e facendo implodere i fondamentali elementi strutturali e regolatori che controllano gli assetti bioclimatici e geofisiologici della biosfera.

Anche laddove non si disponga degli strumenti tecnico-scientifici rigorosi per decifrare in dettaglio queste severe criticità planetarie, esiste comunque una percezione intuitiva dell’abisso che si sta aprendo davanti a tutti noi. Mettere in Costituzione la varietà biologica e i sistemi ecologici è un’istanza che forse più che dalle raffinate filologie del diritto emerge con forza dalla sensazione diffusa che la distruzione autolesionista e suicida della natura sta per inghiottire ogni speranza di futuro».

«La Repubblica tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali», si legge.

Repubblica-Natura-Ecologia-Costituzione… sono tutti vocaboli al femminile. Franco, lei oltre a essere un esperto di ecosistemi, è anche un filosofo. Quanto conta la dimensione e l’approccio femminile nell’ambito della cura e della preservazione?

«Penso che contino moltissimo. Anzi, sono convinto che siano elementi strategici, irrinunciabili e cruciali per quell’urgente mutamento di paradigma alla base di una possibile fuoriuscita dalle contraddizioni esiziali in cui si dibatte rabbiosamente la nostra pirotecnica società del consumo compulsivo e della mercificazione totale.

Un cambiamento di orizzonte che passa attraverso la reinteriorizzazione attiva del rispetto profondo per la trama creativa e autopoietica delle armonie generate dalla natura vivente. E in questo l’approccio al femminile è elemento costitutivo e imprescindibile.

Anche senza ricordare l’apporto essenziale che il pensiero femminista ha assicurato all’elaborazione di una visione ecologica sistemica di tipo biocentrico e biofilico. O anche senza soffermarsi sull’importanza primaria dei contributi provenienti da autrici molto diverse fra loro ma unite dalla stessa consapevolezza ecologica come Mary Austin, Rachel Carson, Dolores LaChapelle, Karen Warren, Carolyn Merchant o Vandana Shiva, è sufficiente considerare quanto la lettura al femminile sposti radicalmente il baricentro e la prospettiva dell’analisi dal dominio alla relazione.

In particolare, quanto riorienti i vettori portanti dalla semplificazione alla complessità, dalla singolarità alla totalità, dalla separazione all’interconnessione, dall’antagonismo alla simbiosi, dallo scontro al dialogo. Dallo sfruttamento alla cooperazione, dal controllo all’interdipendenza, dalla gerarchia all’inclusione, dalla competizione all’empatia. Non credo sia affatto un caso che si declinino al femminile la Terra, la vita, la biosfera, Gaia, Pachamama, Aruru, Cerere o Mati Zemly».

La tutela della Natura è ora tra i principi fondamentali dello Stato. Franco, lei a molti altri, avete esaurito la vostra missione? Ora ci penserà lo Stato. Funziona così?

«Sarebbe meraviglioso se fosse così. Purtroppo, è esattamente il contrario. Proprio l’incorporazione di biodiversità ed ecosistemi tra i valori fondanti della Costituzione richiede un aumento esponenziale, a scala globale e locale, del livello di impegno. Dedizione, passione, determinazione e coerenza per arginare lo scempio distruttivo del tessuto vivente della biosfera, al fine di invertire la rotta che conduce al collasso e all’estinzione.

La battaglia entra nella sua fase più acuta. E l’unica opzione che esiste è vincerla. Perderla significherebbe semplicemente essere spazzati via. Per sempre».

Secondo lei cosa cambierà in merito alle tante opposizioni formali, ad esempio: sullo sviluppo delle rinnovabili, eolico e fotovoltaico? Prima era solo il paesaggio a essere tutelato ora anche l’ambiente e la biodiversità vengono messi sullo stesso piano. Questo ci aiuterà come Paese ad affrontare meglio l’emergenza climatica?

«La questione è complessa e delicata. Paesaggio e ambiente sono entità differenti. Il paesaggio è una configurazione spazio-temporale e una struttura multidimensionale in cui si intrecciano e si fondono elementi naturali e componenti antropiche del territorio.

L’ambiente è il motore bioecologico che genera e irradia flussi e correnti di vita. Eil sistema fisiologico integrato che del territorio modula e governa gli equilibri dinamici, i cicli, le reti metaboliche, i feedback, l’omeostasi e la resilienza. L’ambiente è l’hardware, il paesaggio è il software.

O, se si vuole, il paesaggio è un’espressione fenotipica dell’ambiente. Il primo è bello solo se il secondo è sano. Entrambi sono importanti ed è coerente che la Costituzione tuteli l’uno e l’altro. Innestata su questo assunto di base, la questione della produzione di energia si incanala in un binario ben delineato.

Non sono accettabili fonti, risorse e sistemi tecnologici che implicano un contenuto impatto paesaggistico ma che uccidono l’ambiente. Come sono da respingere soluzioni ambientalmente più sostenibili ma che fanno scempio del paesaggio. Si tratta di uno spartiacque sottile ma solido, incardinato su di un equilibrato e sinergico mix di risparmio energetico, efficienza tecnologica e uso intelligente di fonti rinnovabili.

È necessario imboccare con decisione questa strada e farlo è tanto semplice quanto difficile. Basta abbandonare la prospettiva del totalitarismo economicista e utilitarista che porta a leggere la realtà solo con gli occhiali del profitto immediato e adottare un approccio che guarda al benessere duraturo complessivo delle comunità umane e dell’intera biosfera. Solo che dobbiamo farlo subito, con la massima urgenza. Perché non c’è più tempo».

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