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“Il posto dell’uomo” – Recensione

Cerco sempre un luogo, un rifugio dove stare bene  - By Aleggiante 

Credo capiti a chiunque di avere un libro di cui non si dimentica mai né titolo né autore, che si presta, si regala, si conserva anche se macchiato e usurato e di cui ogni tanto si pensa: «Devo rileggerlo»… 

A me è successo con un vecchio libro: IL POSTO DELL’UOMO di Paul TOURNIER, Borla Editore, Torino 1969.  

Tournier, medico e scrittore svizzero, ha delineato la “medicina della persona” proprio a partire dalla sua attività di counseling di ispirazione cristiana. 

Mi ha rasserenato comprendere, con il suo aiuto, la mia tendenza a concentrarmi sulle case, sui luoghi in cui si vive, sui dettagli che suscitano ricordi, sulla bellezza che cura… 

L’autore cita una sua esperienza di dialogo “terapeutico” in cui un ragazzo, riassumendo le sue riflessioni, dice:  

«In fondo, CERCO SEMPRE UN LUOGO». 

Un nido, un guscio, luoghi in cui ci si sente protetti, a cui si è collegati.  

Non significa essere attaccati alle cose e non essere legati alle persone, ma aver sperimentato un vuoto esistenziale che si cerca di colmare. 

Io prima di sposarmi ho affrontato 8 traslochi e poi altri 10.  Se dopo il lutto questo è lo stress maggiore, credo sia stata una sfida!  

Le tante case in cui ho abitato si affacciano distintamente alla mia mente ma mi rendo conto per vari motivi che nessuna è mai stata veramente la mia casa. 

«Per il bambino il luogo per eccellenza è la famiglia… Quando la famiglia presenta una struttura tale per cui il bambino non si può veramente integrare, egli andrà dovunque alla ricerca di altri posti…» (Op. Cit. p. 18) 

Io credo, da bambina, di aver vissuto la mia esperienza “familiare” in un modo non adeguato.  

Non sono sicuramente stata l’unica al mondo e non mi sto piangendo addosso, ma ricordo distintamente quella famiglia allargata che non era la mia: un padre assente, una madre “cenerentola”, una nonna anaffettiva che viveva in simbiosi con sua sorella, uno zio “padrone” che urlava quasi sempre e che bisognava imbonire. 

In questa casa, nella foto così come si presenta ora ristrutturata, ho vissuto in quelle due stanze con il balconcino, a sinistra dai 3 ai 6 anni e a destra fino ai 12 anni. E dal balcone di sinistra io e mia mamma abbiamo calato di notte le valige per andarcene. 

Questa è la casa che è rimasta indelebile nei miei ricordi.  

E nonostante tutta la sofferenza che vi regnava c’era un luogo nel luogo: una scala da un terrazzo interno portava in alto, in una stanza ripostiglio e quello era il mio rifugio.  

E in quel rifugio ne avevo allestito un altro ancora più piccolo, dove avevo riunito tutto il mio mondo. 

«L’uomo ha bisogno di un luogo, ne ha un bisogno vitale. Da dove deriva questo bisogno? Credo che indichi proprio il bisogno di vivere, di esistere, di avere un posto nella vita. La vita non è un’astrazione: esistere vuol dire occupare un determinato spazio vitale cui si ha diritto» (p. 33) 

Tournier sostiene:  

«Tutti i luoghi della nostra esistenza rimangono in noi fissi come i chiodi di quel gigantesco negozio di accessori dove sono appesi tutti i nostri ricordi. Essi simbolizzano tutti gli stati d’animo che abbiamo vissuto, anche le più piccole sfumature dei nostri sentimenti» (p. 21). 

Perché sto pensando e dicendo queste cose?  Per giustificare il mio attaccamento agli oggetti e ai ricordi?  

Il passato spesso sarebbe da cancellare, ma non sempre si riesce e allora l’unica soluzione è vederlo nei suoi lati migliori, in quelle COSE che ci ricordano le esperienze belle e costruttive, che diventano simboli di tutte le volte in cui siamo riusciti a superare, a vincere, a migliorare.  

Ognuno ha il suo puzzle di tanti pezzi che creano il quadro della sua vita.  

E Tournier precisa infatti:  

«Per capire a fondo un individuo, bisogna seguirlo minuziosamente nei luoghi della sua esistenza da lui stesso descritti, bisogna cioè vivere con lui i suoi luoghi» 

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