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Intervista all’Onorevole Walter Verini 

  • Walter Verini, grazie per aver accettato di incontrare Vita & Salute Web. Sai bene cosa vuol dire dedicarsi all’informazione e all’approfondimento. Sai cosa vuol dire lavorare sull’attualità perché hai esercitato la professione di giornalista prima del tuo impegno nella politica e nelle istituzioni.  
  • Oggi sei un deputato della Repubblica ma siamo convinti che la passione del cronista è ancora tutta lì e ti diamo del “tu” proprio per questo. Straconvinti ti faccia pure piacere. Via ogni distanza di sicurezza formale, pur mantenendo, neanche a dirlo, il rispetto per ciò che rappresenti oltre che per la persona che sei.  
  • Devi sapere che Vita & Salute Web è un insieme di testimonianze, storie, esperienze; accendiamo i microfoni, apriamo occhi e orecchie, senza tanti fronzoli e senza presunzioni tuttologiche. Aiutaci a farlo con un onorevole su temi che sembrano lontani ma ci riguardano tutti

Una prima curiosità che ci devi togliere: fare il parlamentare in questi anni di pandemie, crisi economiche e politiche, guerre ed emergenze continue, ti ha provato? Ti ha cambiato un po’? Quali sono stati i momenti di maggiore pressione e quali di maggiore emozione?

Tra i banchi di Montecitorio riuscite a sentire fino in fondo come sta vibrando la società italiana o hanno ragione quelli che dicono che vivete in torri d’avorio senza avere una reale percezione della realtà? 

No, se uno svolge il suo mandato parlamentare con serietà (e la maggior parte di noi lo fa) non si vive in una torre d’avorio. Proprio durante la pandemia ognuno di noi ha vissuto i drammi quotidiani delle proprie famiglie, degli amici. Ma non solo. Anche quelli dei ristoratori, del mondo dello spettacolo, del turismo, del commercio, del mondo del lavoro e dell’impresa.

Dei titolari di palestre e discoteche. Del mondo della scuola e dei giovani che sono stati le principali vittime di questi anni da incubo. Oppure le difficoltà degli operatori sanitari, degli amministratori locali in trincea. In questo senso – è vero – un po’ siamo cambiati, forse è aumentata la consapevolezza di un fatto: se le istituzioni, a partire dal Parlamento, non riescono a dare risposte in tempi “reali” alla società e alle persone che le chiedono, se non si sincronizzano e sintonizzano con i cittadini, il distacco e le crisi, aumentano.

E spesso, in questo periodo, pur avendo sostenuto e deciso interventi sociali senza precedenti (europei e nazionali) abbiamo avuto la consapevolezza, mentre li adottavamo, della loro insufficienza, della loro limitatezza

Siedi in Commissione Giustizia alla Camera, hai lavorato e messo la faccia su una serie di riforme che, a tuo dire “rappresentano, per l’Italia, la chiusura della guerra dei trent’anni sulla giustizia”. Calendario alla mano, trent’anni fa eravamo a Mani Pulite, un’inchiesta che negli anni successivi ha condizionato il rapporto di forza tra i poteri dello Stato: esecutivo, legislativo e giudiziario, ma che ha condizionato anche processi culturali che nel tempo hanno diviso il Paese in giustizialisti e garantisti.

Quali sono i passaggi più significativi della riforma penale e civile? Spiegami perché dovrebbe interessare anche l’uomo della strada e come possono contribuire a far maturare una nuova coscienza popolare e civile sul tema della giustizia? 

Sono passati trent’anni dall’avvio di Mani Pulite. Per semplificare, un po’ per titoli. C’è chi sostiene come tutto sarebbe nato da una invasività di una certa magistratura contro i partiti della cosiddetta Prima Repubblica e da alcuni sorti sulle sue macerie. 

E che la Politica (una parte della Politica) avrebbe praticato una sosta di “legittima difesa”. D’altro canto, c’è chi sostiene invece come tutto sia nato dalla P2 di Gelli, dal suo piano di colpire l’indipendenza della Magistratura ereditato poi da una certa politica. Io penso che si debba uscire da questa Guerra dei trent’anni, non tra giustizialisti e garantisti, ma tra giustizialisti e finti garantisti. Il garantismo è una cosa seria, nobile. Ma spesso è stato e viene agitato come una clava e a corrente alternata per praticarlo solo verso certe direzioni: i colletti bianchi, certi settori dell’establishment, gli amici. 

La strada da seguire sono invece le riforme. Questo Parlamento ha approvato quelle del Processo Penale e Civile. Il secondo ha l’obiettivo di velocizzare i procedimenti, dare risposte europee a cittadini, imprese, investitori che subiscono tempi intollerabili prima di un esito processuale. La riforma del Penale ha obiettivi simili.

Basta con il “fine processo mai”, sia per gli imputati (che sono presunti innocenti fino a giudizio definitivo, non lo dimentichiamo mai) sia per le vittime (singoli o collettività che hanno diritto essi stessi a un esito). Si rafforzano quindi garanzie, ma anche tempi certi, con strumenti nuovi come l’Ufficio del Processo. E si cerca di tenere insieme il dovere di evitare “gogne mediatiche” con quello di garantire il diritto all’informazione, che qualcuno, purtroppo, considera quasi un impaccio da ridimensionare.  

Quanto alla riforma del CSM stiamo concludendo un percorso che potrebbe aiutare la Magistratura a ritrovare quella indispensabile credibilità che è stata ammaccata da troppo correntismo, carrierismo, da commistioni tra pezzi di magistratura e pezzi di politica.

Più pluralismo, meno ossificazioni correntizie, meno carrierismi automatici, più valutazioni di merito negli avanzamenti di carriera, parità di genere, più peso all’ Avvocatura, meno “porte girevoli” (anche se ricordiamo che oggi i magistrati in Parlamento sono tre, gli avvocati oltre centoquaranta). Insomma, nessuna riforma garantirà quella autorigenerazione più volte invocata da Mattarella, ma potrà certamente favorirla.

Quello che non possiamo accettare è che qualcuno voglia cogliere questa fase per dare un colpo all’autonomia della Magistratura, alla separazione dei poteri, che voglia regolare conti. Questo significherebbe continuare la Guerra dei trent’anni e impedire riforme di cui a beneficiare sarebbero il Paese e i cittadini. 

Come si concilia la seconda parte dell’articolo 101 della Costituzione: “…i giudici sono soggetti soltanto alla legge” con la presenza attiva delle correnti politiche che hanno condizionato negli anni le decisioni e l’esercizio delle funzioni del Consiglio Superiore della Magistratura? Senza un vaso di Pandora scoperchiato, saremmo comunque arrivati a questa riforma?  Cosa cambierà? 

Le aree politico-culturali all’interno della Magistratura sono un fatto positivo. Se negli anni Settanta non fossero nate aree di cultura giuridica progressista che hanno contribuito ad animare il dibattito politico-culturale la situazione sarebbe più arretrata. Ma una cosa è il pluralismo, è il dibattito delle idee. Altra cosa un correntismo utile al carrierismo.

Questa è degenerazione del pluralismo. C’è da dire che tuttavia queste pratiche degenerative hanno riguardato una minoranza di magistrati, rispetto agli oltre novemila che lavorano negli Uffici Giudiziari con impegno e dedizione. E c’è da dire che spesso questi sistemi negativi hanno trovato 

sponde in pezzi e ambienti della politica che evidentemente hanno avuto ed hanno una idea malata del principio della separazione dei poteri e dell’indipendenza della Magistratura

Sei membro della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle associazioni criminali, italiane e straniere. La nostra sensazione e che di questo cancro mortale se ne parli troppo poco e che nel silenzio, malgrado il grande impegno delle forze dell’ordine, esse continuino a proliferare e corrodano interi “pezzi di Paese”; un problema ormai non più localizzato ma generalizzato.

A che punto della lotta siamo e quali sono le sfide per trasformarla culturalmente “nella questione di tutti”? Ci piacerebbe se tu, nel rispondere, partissi da un aneddoto, da un’esperienza che hai vissuto o ascoltato mentre stavi facendo la tua parte. 

È vero. C’è sottovalutazione. Forse perché oggi le mafie sparano di meno. Perché ne hanno meno bisogno. Operano infatti riciclando nei mercati finanziari e nell’economia reale i proventi illeciti del narcotraffico, dell’usura, delle estorsioni. Hanno approfittato della crisi economica del dopo 2008 e delle conseguenze economico-sociali della pandemia per acquistare capannoni industriali e acquisire quote di gruppi o intere aziende in crisi.

Per acquistare imprese turistiche, per esercitare un “welfare mafioso” laddove non riesce ad arrivare lo Stato. Per penetrare direttamente nelle istituzioni, eleggendo nei consigli comunali e regionali uomini e donne della ‘Ndrangheta, della camorra, etc…Hanno continuato penetrazioni nelle professioni, nei mondi della sanità privata e pubblica. Stanno cercando di mettere le mani lì dove ci sono grossi investimenti: i fondi del PNRR, la ricostruzione dai terremoti, i grandi appalti. Occorre tenere alta la guardia.

Non pensare che il pensiero dominante “velocizzare, semplificare”, che esprime un’esigenza giusta, si possa coniugare a scapito di trasparenza e legalità. Qualche ricordo? Beh, tanti. Il legame forte con Don Ciotti e il primo sopralluogo insieme a lui e a Veltroni a una villa sequestrata a Roma al boss Nicoletti e che sarebbe diventata poi la Casa del Jazz, con la targa all’ingresso recante tutti i nomi delle vittime delle mafie. La conoscenza diretta con Maria Falcone. L’amicizia con Giuseppe Antoci, Tano Grasso, il Presidente Piero Grasso.

Il legame solidale con i giornalisti minacciati dalle mafie, da Paolo Borrometi a Federica Angeli e Sigfrido Ranucci. E altri che ho avuto modo di audire anche nella mia veste di Coordinatore del Comitato per la tutela dei giornalisti minacciati in Commissione Antimafia e con i quali abbiamo fatto tanti dibattiti e manifestazioni insieme alla FNSI di Beppe Giulietti.

Nella mia attività parlamentare sono onorato di avere contribuito in prima persona a far approvare leggi come l’inasprimento delle pene per il reato di voto di scambio-politico mafioso; il nuovo codice Antimafia e la riforma dei Beni confiscati (merito principale qui di Davide Mattiello); la ripenalizzazione del reato di falso in bilancio e l’introduzione di quello di autoriciclaggio. 

Ricordo con emozione, poi, l’ovazione corale che venne rivolta al nome dell’imprenditore Condorelli, che aveva denunciato i mafiosi che pretendevano il pizzo. Mi alzai in aula, presi la parola e al termine di qualche minuto di solidarietà alzai e alzammo in mano dei torroncini Condorelli esclamando “Siamo tutti Condorelli”. L’aula, tutta in piedi, si produsse in un applauso forte, intenso, corale. Mi fermo qui. Ci sarebbero tanti episodi, tante iniziative, tanti ricordi: essermi impegnato e impegnarmi in Parlamento su questi temi è stato ed è per me molto importante

Tassi di affollamento del 113% con punte del 150%. Sono alcuni dei dati sullo stato attuale delle carceri italiane, secondo quanto apprendiamo dal Garante nazionale dei diritti, dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e dall’Associazione Antigone.

Le denunce non riguardano solo la mancanza di spazio ma diverse criticità nel sistema amministrativo carcerario e la tendenza da parte dei governi e dell’opinione pubblica di marginalizzare un tema che invece è centrale e di grande valore civile. A che punto siamo e quanto spazio occupa nell’agenda di Governo? 

Anche su questo tema abbiamo lavorato molto. Ma il Paese presenta drammatici problemi di arretratezza nel sistema penitenziario. E abbiamo il rammarico di non essere riusciti ad approvare sul finire della scorsa legislatura la riforma dell’Ordinamento Penitenziario su cui si era impegnato il Ministro Orlando.

Investire in carceri umane, su trattamenti davvero rieducativi, socializzanti, rispettosi dell’Articolo 27 della Costituzione, significa investire non solo in umanità, ma anche in sicurezza. Chi ha sbagliato e sconta una pena, se al termine della detenzione esce con un diploma, un lavoro che ha imparato in carcere, con anni di risocializzazione, non torna a delinquere e anche la società è più sicura. Il carcere, poi, deve essere l’extrema ratio, solo per reati gravi e gravissimi e di allarme sociale.

Ci sono pene alternative, messa alla prova, altre forme di pena che potrebbero favorire percorsi di recupero più consistenti e favorire la lotta al sovraffollamento delle carceri. La Minisra Cartabia è sensibile al tema. Noi le abbiamo privatamente e pubblicamente chiesto di agire anche con provvedimenti urgenti, tramite decreto. Non so se seguirà questa strada, ma la sosterremo. Non siamo quelli che fanno i garantisti solo con gli amici o i potenti e poi urlano “buttate via la chiave, marciscano in galera”. 

Walter, vorrei che tu rispondessi a questa ultima domanda nel modo più diretto possibile. Perché dovremmo ancora credere nella Politica e fare Politica? E andare a votare e partecipare? 

Perché c’è ancora una Politica che considera il potere un mezzo e non un fine. C’è un impegno Politico fatto per gli altri e non per sé stessi. Perché nella Politica ci sono ancora valori, ideali, memoria del passato e visione del futuro. C’è una Politica che rifiuta il presentismo e la dittatura del Tweet.

Ho scritto sempre la parola Politica con la P maiuscola. Molta di questa non sta nei partiti, ma nella società, nel volontariato. Ma sta anche nei partiti e, per quanto mi riguarda, mi batto perché queste sensibilità si incontrino sempre di più e camminino insieme.  

Un grazie non basta per il tuo tempo e le tue parole. Ti siamo grati e ti salutiamo dicendoti che ormai sei un amico della rivista e ti porteremo in viaggio con noi.

Se ti è piaciuto l’articolo leggi anche l’intervista a Marina Sereni, Vice Ministra Affari Esteri e Cooperazione Internazionale.

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