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Lingua madre

“Il dialetto da non dimenticare”, parola di un cantautore napoletano

By Aleggiante

Lingue

Oggi mi dilungo su una delle mie passioni… la lingua.

Quando la lingua con cui comunichiamo non è semplicemente parole ma vita…

In Romagna sono cresciuta con l’idea che non si doveva né imparare né parlare il dialetto, mi dicevano:

«Ti confonde le idee e poi a scuola fai degli errori!». Infatti, riesco a capirlo ma non so esprimermi adeguatamente e alla fine lo considero più una cadenza, con alcune parole che spiccano per originalità o che suscitano il sorriso.

Per chi vuole approfondire il romagnolo ecco un video da guardare.

Dialetti

Poi, proprio a scuola, studiando Goldoni ho scoperto il veneto e mi sono confrontata con l’idea che il dialetto potesse diventare una vera e propria lingua, addirittura letteraria. Ho iniziato a rendermi conto che le espressioni tipiche non erano semplicemente parole speciali ma facevano parte della storia e della vita.

E il suono acquisiva uno spazio importante, diventando sempre più corposo, espressivo, affascinante.

Per chi vuole approfondire il veneto consiglio questo video.

Napoletano

Quando mi sono immersa nell’atmosfera napoletana, tanti anni fa, ho capito veramente che ero davanti a una lingua MADRE, che si acquisiva a poco a poco fin dalla nascita e niente e nessuno poteva offuscarla, tantomeno sfumare l’intonazione. Entrava ovunque: a scuola, a teatro, al cinema, nella canzone… non era mai fuori luogo.

Ma l’entusiasmo non basta e ci vuole un parere “verace” …

Ho pensato di farmi una chiacchierata con Francesco Di Vicino, punto di riferimento DOC e anche addetto ai lavori. Mi ha rivelato:

Il napoletano, come vera e propria lingua madre, risale ai tempi di Alfonso D’Aragona (siamo intorno alla metà del 1400): in napoletano si promulgavano leggi e si intrattenevano rapporti epistolari tra il Regno di Napoli e gli altri Stati. Poi, con il Risorgimento e l’unità d’Italia, nasce una lingua “italiana” ma nella stesura di poesie e canzoni la lingua napoletana, nella sua terra di origine, ha perpetuato la sua essenza.

Probabilmente perché le forme artistiche non si assoggettano ai vari poteri!».

Tu non parli semplicemente napoletano, ma fai musica in lingua madre.

«Scrivo e canto nella mia lingua perché mi viene facile farlo così, come quando parlo con un amico. Non c’è niente di più bello nell’essere veri, tutto qui. Amo la lingua italiana ma il mio approccio con essa lo vivo in punta di piedi e non solo quando scrivo canzoni. Se vivi in certi luoghi e fai musica, la tradizione è parte di te, non può essere altrimenti. Attingo costantemente sonorità e ritmi da essa».

Ti viene in mente un’espressione simpatica e significativa in napoletano?

«Tra noi musicisti ce n’è una ricorrente, usata per “chiudere” con rapidità qualsiasi cosa si stia facendo: “Guagliù facimme addò và”».

Due parole sul tuo ultimo album “I come from italy”… perché ogni tanto usi anche l’inglese?

«I come from Italy è una fotografia della nostra storia di migranti italiani che dovremmo sempre tenere a mente. Ciò che ci rende uomini migliori è la nostra memoria. Senza memoria non può esserci un futuro. Ovviamente nell’album ho trattato anche altri temi che spero scoprirete ascoltandolo. Riguardo l’inglese che uso ‘ogni tanto’, è perché credo che le lingue tutte siano ingredienti validi per sperimentare ricette musicali, e dosandole bene danno il loro piacevole effetto. Ma riguardo questo impasto c’è chi lo ha fatto prima e meglio di me: Renato Carosone e Pino Daniele».

La tua canzone preferita, ovviamente per il testo?

«Non so risponderti. Pur non rinnegando i temi che ho trattato e la mia fede per il Dio che è alla base di tutte le mie ispirazioni, sai bene che si cresce e che quando ci si guarda indietro spesso si sorride per ciò che si è stati. Non ho una mia canzone preferita ma ce ne sono alcune dove riconosco un buon incastro tra testi e musica e dove nel cantarle riesco ad emozionarmi. So che a te piace ‘Nunn’è statana bucia’, intimistica ed autobiografica. Ti farà piacere sapere che è tra quelle che salverei».

La lingua e le lingue…

L’ultima avventura la sto sperimentando con il siciliano di Camilleri. I lavori sono ancora in corso: c’è tanto da imparare e da sorridere!

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