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Il futuro della Terra

Lo chiamavano "global greening"

Il futuro, l’avvenire, è il punto unico dell’orizzonte verso il quale tende ogni occhio sensatamente umano.

Tutti vorrebbero poter scoprire le carte, dipanare la nebbia, togliere il velo, non tanto per curiosare in modo superficiale, ma per poter protendere tutto il proprio presente verso la meta.

Paper

Il 3 novembre del 2022 è stato pubblicato uno studio, che contiene tesi e parole non proprio comuni, sguardi che provano ad andare oltre, indirizzati verso il probabile futuro della terra.

Noi di V&S WEB abbiamo posto alcune domande al Prof. Giorgio Vacchiano, Ricercatore in gestione forestale e divulgatore scientifico, Associate Professor in Forest management and planning and science communicator.

Greening & Browning

Prof. Vacchiano, cosa si intende per global greening? E per browning?

«Per global greening e browning si intende un aumento, o una diminuzione nel secondo caso, dell’attività fotosintetica globale da parte delle piante – attenzione, non solo delle foreste, ma di tutte le piante, comprese le coltivazioni.

Diversi studi pubblicati finora, usando immagini satellitari dalle quali riusciamo a ricostruire l’intensità della fotosintesi, mostravano una tendenza all’aumento della fotosintesi a partire dagli anni ’80. La spiegazione che è stata fornita dagli studiosi ha a che fare in parte con un effetto positivo della CO2 emessa dall’uomo sulla velocità della fotosintesi, ma per la maggior parte con una espansione dell’agricoltura e delle tecnologie agricole in paesi semi aridi o in via di sviluppo (India e Cina soprattutto)».

Osservazione satellitare

«Questa osservazione sembra in contrasto con l’esistenza del fenomeno della deforestazione, che ogni anno elimina ancora 5-6 milioni di ettari di foreste tropicali, ma in realtà si tratta di due cose diverse – nel caso del greening non guardiamo solo alle foreste ma a tutta la vegetazione (comprese le coltivazioni di soia o i pascoli che sostituiscono le foreste primarie nei paesi tropicali).

Naturalmente, però, i benefici ambientali di una foresta sono infinitamente superiori a quelli di un campo o di un pascolo; quindi, non possiamo giudicare l’impatto umano solo dal “greening”.

La CO2 ha un effetto positivo sulla fotosintesi a parità di altri fattori, perché è il “cibo” delle piante. Ma questo effetto avviene solo finché non intervengono altri fattori a limitare la salute delle piante o la loro attività fisiologica.

E poiché la CO2 che noi emettiamo in atmosfera ha anche l’effetto di aumentare il calore, la siccità, e gli eventi meteorologici estremi, si teme che a un certo punto quell’effetto si inverta e inizino a predominare le conseguenze negative.

E questo studio sembra aver individuato proprio questa inversione – a partire dall’anno 2000; secondo i ricercatori, le temperature sono diventate troppo alte per una fotosintesi ottimale, e lo stress termico prevale come effetto negativo sulla performance delle piante».

Modelli e variabili

Dagli anni ’80 ai nostri giorni sono cambiate parecchie cose, come facciamo a essere certi che questi modelli che proiettano il presente della nostra terra verso quel puntino futuro siano corretti? Non ci sono, forse, troppe variabili non ancora verificate?

«Rispetto ad altri studi sull’impatto della crisi climatica sulle foreste, quello sul greening è in effetti soggetto a molte incertezze, che dipendono dal tipo di satellite usato, dal tipo di analisi e trattamento matematico dei dati, e studi diversi negli ultimi anni hanno rivelato risultati parzialmente contraddittori.

Ma il processo generale è chiaro: l’effetto positivo della CO2 prevale solo fino a che gli altri effetti della crisi climatica non diventano troppo stressanti per le piante, e in alcune zone del mondo questa transizione è già avvenuta».

Ti è piaciuto l’articolo? Guarda allora il video Colorare Roma di Alberi

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