Claudio, tu hai intervistato Gino, in quali occasioni?
Ho intervistato Gino Strada in due occasioni ma l’ho incontrato molte altre volte.
La prima volta nel 2010, per il nono incontro nazionale di Emergency a Firenze. Sei giornate ricchissime di appuntamenti e di personaggi, nazionali e internazionali, a tutto campo, al Mandela Forum e al Palazzo dei Congressi dal 7 al 12 settembre.
La seconda nel 2013, sempre per la giornata nazionale di Emergency, ma questa volta a Livorno, con Gino spalle al mare.
Che uomo ti è parso?
Ricordo la prima volta, eravamo nel giardino del Palazzo dei Congressi e stava per avere
inizio la kermesse di Emergency. Ero in agitazione, perché l’addetto stampa mi aveva dato l’ok per l’intervista, ma si era raccomandato: «Non più di 10 minuti!».
C’era un gran via vai, ero agitato, emozionato, speravo funzionasse tutto e non facessi errori, non volevo compromettere l’intervista. Poi mi giro e vedo Gino, in mezzo al prato con in braccio un bambino, suo nipote Leone, figlio di Cecilia. Rimasi colpito nel vedere un personaggio pubblico, come Gino, in un atteggiamento così privato. È così, penso, partirò da qui per l’intervista.
Mi chiamano, Gino è pronto. Vado: «Buongiorno Gino, sono Claudio Coppini, inviato di RVS». «Buongiorno a lei», la sua risposta cordiale.
E parto da dove avevo deciso di iniziare: «Un Gino Strada insolito, con il nipotino in braccio?». La risposta è stata secca e mi ha fatto secco: «Non c’ho nessun merito in questa cosa!». Mi sono sentito ghiacciare, il cuore fermo, sicuro di non riuscire più a trovare le parole giuste per andare avanti.
Mi feci coraggio, tirai un gran respiro e ripartii subito, l’imbarazzo si sciolse di lì a poco, e Gino cominciò ad articolare con chiarezza le sue risposte. Che uomo mi è sembrato? Beh, ti rispondo con l’ultima mia battuta prima di chiudere l’intervista, gli do del tu e gli faccio: «Scusa Gino, ti posso dare un bacio?», hahahaha, nell’intervista registrata si sente anche lo schiocco. Gino Strada è un uomo che ti arriva diretto al cuore.
Tu hai curato per diversi mesi delle trasmissioni radiofoniche Radio Emergency, ti sei sentito una minuscola parte di questo suo grande progetto?
RadioEmergency, è stata per me e per RVS un’esperienza incredibile. Grazie a un volontario storico di Emergency, Nicola Garcea che curava ogni volta i collegamenti con medici, infermieri, operatori, logistica.
Dagli ospedali e cliniche di Emergency, dall’Afghanistan, a Kabul Centro chirurgico per le vittime di guerra, al Centro di Maternità di Annabah nella valle del Panjshir.
Dall’Iraq, con il Centro di riabilitazione e reintegrazione sociale di EMERGENCY Sulaimanyia nel quale, i pazienti, quasi sempre vittime delle mine anti uomo venivano sottoposti a trattamenti di fisioterapia e all’applicazione di protesi e potevano frequentare corsi di formazione professionale per imparare un lavoro compatibile al loro handicap.
Dalla Libia, dal Sudan, dalla Sierra Leone per l’epidemia di Ebola. E poi dall’Italia con il Poliambulatorio di Marghera o con i pullman attrezzati per visite e cure “Quello” e “Questo”, a Castel Volturno, in Sicilia ecc…
Fino ad all’intervista con una infermiera di Emergency del 2020, durante la prima ondata di Covid 19 con l’ospedale in Fiera a Bergamo.
Nicola Garcea ci ha fatto viaggiare e raggiungere queste “basi di vita” ogni settimana con il programma RadioEmergency, che storie.
Uomini e donne formidabili che avevano e hanno chiaro il loro compito e la loro missione nella vita. In questi 6 anni abbiamo imparato tanto grazie a Emergency. Come mi sono sentito, mi chiedi?
Fiero di far parte di un’emittente che grazie ad un’associazione umanitaria condivideva concretamente l’invito di Gesù «ama il tuo prossimo come te stesso». Infinita riconoscenza per quei collegamenti in diretta dal mondo con storie drammatiche ma colorate dalla speranza portata da uomini e donne al servizio della vita.
Qual è il dono più grande che hai ricevuto da Gino?
Rispondo con due frammenti fuori onda del dopo intervista. «Gino perché negli ospedali di Emergency nel mondo date la stessa cura e attenzione alla sala operatoria e al giardino?», chiedo.
Gino mi risponde così: «Il giardino è l’altro 50% necessario per la guarigione. Ha una funzione terapeutica. Dopo un’operazione tu ti trovi su un letto in posizione orizzontale. Vedere dalla finestra degli alberi in posizione verticale ti aiuta, se poi aggiungi le rose i fiori, i profumi… Muovere i primi passi, da resuscitato, in un giardino, è cura tanto quanto i farmaci. Il giardino è terapeutico e poetico. Ecco perché troverai sempre un giardino ben curato in ogni ospedale di Emergency».
L’altro dono.
«Gino hai speranza per il futuro?», domando.
«Che vuol dire speranza? Noi sappiamo il compito che ci è stato affidato e abbiamo ben chiaro quello che siamo chiamati a fare e dobbiamo fare. Questa è per me speranza». Davide, queste due risposte me le porto scolpite nella mente e nel cuore da più di 10 anni e credo che non le scorderò mai.