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Crisi climatica, un fallimento senza appello?

La speranza si smorza, pare tutto irrimediabile, una specie di arrendevole sgretolamento al cospetto del fallimento conclamato di invertire la tendenza e salvaguardare il futuro del pianeta.

Qualche domanda all’analista, giornalista pubblicista, speaker Alessandro Leonardi.

La lotta la crisi climatica è destinata a fallire?

Alessandro, ho l’impressione che la risposta alla domanda in intestazione non sia molto ottimista, vero?

«Purtroppo la situazione internazionale continua a presentare dati fortemente negativi. Le emissioni di gas alteranti aumentano senza sosta, così come l’inquinamento di suolo, aria e acqua. Inoltre, sta accelerando la distruzione della biodiversità del pianeta. Più che ottimismo o pessimismo, dobbiamo rimanere realisti e denunciare una situazione che si aggrava di giorno in giorno, per quanto ciò sia sconfortante».

Perché? Quali sono i segnali che sembrano stroncare ogni facile ottimismo?

«I segnali sono tanti, ma sottolineerei tre aspetti in particolare:

1) La richiesta di petrolio, carbone e gas rimane altissima e sono previsti nuovi investimenti per oltre 900 miliardi di dollari entro il 2030. Le rinnovabili crescono velocemente, ma non riescono a sostituire le risorse fossili a causa della crescita economica globale e dell’opposizione esercitata dal mondo economico-energetico legato ai fossili. Abbiamo quindi una “parallelizzazione” che non ferma la crisi climatica.

2) Le COP, dopo quasi 30 anni di incontri, hanno ottenuto tante promesse sulla carta, qualche debole accordo, ma nulla di realmente efficace e rapido. Sono strutturate male, lentissime e infestate da numerose lobbies, come è successo all’ultima COP27. La prossima COP (la 28esima) sarà addirittura gestita dal capo della società petrolifera degli Emirati Arabi Uniti. Una situazione surreale…

3) Infine, ed è la questione più importante, vi è la fortissima pressione posta dal nostro modello di sviluppo che persegue una crescita senza limiti. Con 8 miliardi di consumatori e un’industrializzazione fuori controllo è impossibile tutelare l’ecosistema. L’economia circolare non arriva nemmeno al 10%, nonostante se ne parli da anni. Nessuna nazione riesce a rispettare i limiti dell’ecosistema. Nemmeno il Costa Rica, che è una delle più sostenibili».

Il Modello Costa Rica è secondo te riproducibile per affrontare la crisi climatica?

«Purtroppo, no. È una piccola nazione situata in una posizione felice, con una popolazione ridotta. Condizioni completamente assenti in altre nazioni con centinaia di milioni di abitanti e culture, economie, politiche e apparati completamente diversi. Gli interessi dell’Occidente, della Cina, dell’India o di altre nazioni, non coincidono minimamente con il modello Costa Rica.

Abbiamo un Sistema planetario che si è evoluto negli ultimi secoli secondo precise dinamiche industriali-capitalistiche. Dinamiche che non si possono modificare in breve tempo a causa dei limiti delle nostre società e della nostra specie».

Per evitare il Titanic che si fa?

«Vanno accelerati i piani di mitigazione per contenere i danni e allo stesso tempo vanno potenziati enormemente i piani di adattamento, anche quelli “profondi” che prevedono situazioni estreme. Soprattutto perché il cambiamento climatico potrebbe innescare multiple crisi nei prossimi anni con conseguenze imprevedibili. Ben prima dei famosi limiti di 1,5 gradi o 2 gradi.

Infine, tutti coloro che sono impegnati nel preservare una comunità funzionante e stabile (scienziati, climatologi, attivisti, esperti e semplici cittadini) dovrebbero rivedere totalmente i piani, le azioni e la comunicazione fatta negli ultimi 40 anni.

Perché non funzionano più. Ormai è necessario studiare come è nato il nostro Sistema moderno e il suo funzionamento. Se no, qualsiasi soluzione fallirà automaticamente. Con ripercussioni enormi da qui al 2040/50».

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