Intervista al Dottor Raniero Facchini, specializzato in Chirurgia dell’Apparato Digerente e Endoscopia Digestiva, con Master in Nutrizione Clinica e Terapie Oncologiche Integrate.
Dottor Facchini, perché non si dice? Tutto ha un nome proprio per essere indicato e distinto. Senza nome non si esiste.
«In effetti è così. Si procede come a tentoni, con cautela, si evita.
“Mi dispiace, ma non è una cosa bella. È un “brutto male”. È grave”.
Quanti giri di parole. Una massa, una neoformazione, una neoplasia.
Tutte hanno lo stesso significato: le cellule sono impazzite, si sono ribellate, il corpo che si ammutina contro se stesso».
Quanti modi ci sono per dire tumore? Quanto conta la paura?
«Non li ho contati ma sono tanti.
Una frase di Sesto Properzio lo riassume molto bene: “tumor et timor”, tumore e timore insieme, la regina delle malattie a braccetto con la sua compagna di vita, la paura.
La paura del paziente di sedersi in un ambulatorio e sentire quella parola e anche la paura del medico di guardare quella persona negli occhi e doverla pronunciare.
Paura di chi accompagna, perché quella parola è breve, semplice, ma pesante da portarsi a casa.
Per questo i giri di parole, gli eufemismi, i sinonimi.
I medici in genere non perdono tempo, hanno imparato a chiamare le malattie con il loro nome e a essere il più chiari possibile con i propri pazienti, ma il tumore fa eccezione.
Ogni medico ha un suo modo per evitare di aggiungere alla paura che questo male porta con sé anche il trauma di una notizia data crudamente.
È per il bene del paziente, ma anche per una sorta di bisogno di difendersi da questo timore mutuo che a volte accomuna il paziente e il suo medico. Questo succede nel tumore più che in qualsiasi altra patologia».
Lei è medico, come si comporta? Quale il suo spettro d’azione per mitigare la paura del tumore? Il suo libro può essere considerato uno strumento per lottare contro lo sconosciuto?
«Sono uno di quei medici che ha spesso a che fare con “il brutto male”.
Sono specializzato in chirurgia dell’apparato digerente e in scienza dell’alimentazione. Ho visto come l’oncologia sia arrivata ad affiancarsi a tutti gli effetti all’attività chirurgica e come, in modo completamente naturale, sia nato uno studio di oncologia integrata. Oggi non mi occupo più solo di tumori gastroenterici, ma anche di fegato, polmoni, prostata, pelle, cervello e altri.
È in questo ambulatorio, in mezzo a tanti pazienti venuti con storie di tumore, di paura e, soprattutto, di coraggio, che si è presentata l’idea di scrivere un libro.
Queste sono le mie riflessioni, le mie ricerche e anche le mie speranze».
Lei, oltre a essere un medico è un essere umano (e viceversa), ha accennato alla speranza. Non esiste speranza senza volti, senza esperienze. Ce ne racconta qualcuna?
«Marco. Un ragazzo con una bellissima famiglia, un figlio di sette anni, il bambino più bello che abbia mai visto. Marco era un mio amico.
Un giorno è venuto da me e mi ha mostrato una piccola ulcera sul cuoio capelluto. Gli chiesi da quanto tempo l’avesse. Non lo ricordava con esattezza, non le aveva mai dato peso, forse da più di un anno.
Non mi piaceva quella ferita. Lo convinsi a fare degli approfondimenti. I miei dubbi furono confermati: melanoma, chemioterapia.
Marco ha affrontato la sua battaglia col tumore e con la paura assieme alla moglie.
Ha cambiato dieta, è andato oltreoceano in una clinica di Medicina Integrata, alimentazione naturale, idroterapia, massaggi e sostegno spirituale.
Marco era forte e ottimista. Bastava anche un minimo miglioramento per renderlo felice. Per lui, nonostante la fatica e il dolore, o forse proprio grazie a questi, quello è stato un periodo di crescita straordinaria:
“Sto vivendo più in questo anno col tumore che in tutta la mia vita!”, sono parole sue.
Quando si è reso conto che non ce l’avrebbe fatta, mi ha confidato il suo unico rimpianto: non aver iniziato prima la prevenzione. La genesi di questo libro è nata grazie a quelle parole che mi porto dentro».
Il suo libro prova a rispondere a molte domande:
«Guarirò, vero? Che malattia è? Posso vincere? Perché proprio a me?
In questo libro di domande se ne fanno tante altre: ho provato a dare anche qualche risposta.
La battaglia contro il tumore un giorno sarà vinta. Ma succederà solo se chi si è ammalato saprà come combattere consapevolmente il nemico e chi è sano come prevenirlo.
Attualmente i casi di tumore sono in ascesa. Di anno in anno sempre più persone si ammalano e per la maggior parte si tratta di tumori indotti dalle comuni scelte quotidiane e quindi prevenibili.
Finché non si troverà la cura definitiva del tumore, bisogna parlare di prevenzione, parlare con le persone, armarle della conoscenza e della coscienza che sono essenziali per combattere la battaglia. Siamo qui, pronti, quando ci vuole ci vuole».