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Nuove armi nella cura del Cancro

Dagli albori alla target therapy

  • La cura del Cancro e la sua evoluzione 
  • Storia della strategia terapeutica 
  • Chemioterapia e effetti collaterali 
  • Speranze e certezze, la ricerca continua a perfezionarsi 

Professor Curigliano, lei si occupa di studiare e di scoprire nuove strategie terapeutiche e farmacologiche per combattere il cancro.  

Ci potrebbe introdurre in una sorta di viaggio all’interno della storia della farmacologia, dalla sua nascita fino alle grandi innovazioni che abbiamo visto in questi ultimi anni? 

Riuscirebbe a darci una fotografia di quella che è stata la rivoluzione in campo farmacologico e chemioterapico, dalle primissime molecole che avevano un’altissima tossicità alla rivoluzione biotecnologica che stiamo vivendo? 

«Sì, certamente. Io penso che la più grande rivoluzione a cui abbiamo assistito è stata sicuramente quella della caratterizzazione molecolare di molti tumori solidi. La caratterizzazione biologica consiste nell’estrazione del DNA tumorale, nel suo sequenziamento e nell’identificazione di bersagli molecolari su cui vengono costruiti i farmaci.  

Questa è una vera e propria rivoluzione che ha permesso di identificare nel contesto di una macropatologia dei segmenti di pochi pazienti tutti caratterizzati da tumori in cui sempre c’è una determinata alterazione genetica. Questa può essere una mutazione o la presenza di un gene di fusione o di un’amplificazione.  

Target therapy 

Come si traduce questo nella pratica clinica: si parte dalla patologia 

  • tumore polmonare,  
  • tumore mammario,  
  • tumore del colon,  

si estrae il DNA per identificare un’alterazione molecolare.  

Quella alterazione molecolare, chiaramente, sarà presente in una percentuale di pazienti con quella determinata patologia. E questo consente di utilizzare un farmaco altamente selettivo, mirato contro quella alterazione.  

Clinicamente questo si traduce in un elevato indice terapeutico, con un vantaggio sia in termini di controllo della malattia, sia in termini di sopravvivenza.  

Penso che questo sia un messaggio chiaro da divulgare. Perché la rivoluzione genomica ci ha consentito di aprire le porte a quella che noi chiamiamo una medicina di precisione e garantire al paziente un trattamento altamente personalizzato che viene disegnato, come un sarto che cuce un vestito su misura, sulle caratteristiche biologiche del paziente.  

Questa caratterizzazione può essere fatta anche prelevando un campione di sangue periferico e cercando il DNA tumorale in quel sangue. Questo ci fa capire ancora di più quanto il progresso scientifico abbia impattato in maniera sostanziale sulla cura di questi pazienti». 

Dalla chemioterapia alla medicina di precisione 

«Vorrei riportare una mia esperienza personale quando ho cominciato a fare questo lavoro, nel 1999. Ttornavo dagli Stati Uniti, dove mi ero occupato di biologia molecolare; l’unica arma a nostra disposizione in quel periodo era veramente solo la chemioterapia. 

Poi si è cominciato a lavorare costruendo la prima FaceOne unity in Italia, all’istituto europeo di oncologia. Lì abbiamo cominciato a sperimentare le prime molecole di medicina di precisione. Questo farmaco è stato una frontiera nell’approccio alla medicina di precisione nei pazienti con neoplasia polmonare. 

Solo quelli portatori di quella determinata mutazione ne avevano beneficio.  Da qui, chiaramente, si è aperto un ventaglio di opportunità di cura che ci aiuta a capire quanti progressi siano stati fatti da allora». 

Le chiederei di fare un passo indietro e di provare a fare una fotografia di com’era la situazione, all’inizio della lotta farmacologica contro i tumori.  Come sono cambiati i tassi di sopravvivenza rispetto ai farmaci di un tempo? E poi, quali sono gli effetti collaterali? 

«Quando si approcciò per la prima volta il cancro, ovviamente, non c’erano le conoscenze di oggi in merito alla biologia dei tumori. La maggior parte dei farmaci che abbiamo utilizzato vennero portati in clinica proprio grazie a osservazioni casuali.  

In particolare, i chemioterapici, quelli che hanno cominciato a essere il primo presidio terapeutico per la lotta al cancro, furono il risultato di osservazioni che partivano sempre dalla ricerca di base e che poi venivano portati nella clinica.  

I primi farmaci utilizzati nella lotta al cancro furono gli Alchilanti, ciclofosfamide o derivati di farmaci che interferivano con la riparazione del DNA. 

Vennero testati su pazienti che non avevano alternative terapeutiche e si era osservato una loro capacità antiproliferativa.  

Questi farmaci (alcuni vengono ancora utilizzati nella attività clinica) agiscono in prevalenza inibendo la duplicazione della doppia elica del DNA. Sono dei farmaci citotossici, vale a dire uccidono le cellule tumorali ma come effetto collaterale hanno anche quello di uccidere anche quelle sane.  

Ecco perché gli approcci di chemioterapia standard, oltre ad avere, nel caso di alcuni tipi di tumore, efficacia antitumorale molto rilevante – pensiamo alle malattie ematologiche ma anche ad altre malattie di tumori solidi come le neoplasie germinali – uccidono in maniera significativa le cellule tumorali, però, incidentalmente, sparano questo fuoco amico contro le cellule sane.

Cadono i capelli, si abbassano i globuli bianchi e le piastrine. Questo è il costo che abbiamo pagato nello sviluppo di tutta la farmacopea nei farmaci convenzionali per la cura del tumore.  

Quello che è successo negli ultimi anni, invece, è lo sviluppo di farmaci che producono meno fuoco amico, quindi più mirati sulle cellule tumorali, risparmiando invece quelle normali.  

Questo non significa che i nuovi farmaci della medicina di precisione, della target therapy, non abbiano effetti collaterali. Li hanno ancora, ma sono diversi e nella maggior parte dei casi legati a un fenomeno che si chiama di crosstargeting, ma di sicuro non hanno quell’impatto sulla qualità di vita che ha la chemioterapia convenzionale. 

Ci tengo a ricordare che la chemioterapia convenzionale è ancora uno standard in alcune malattie. Quello che però abbiamo imparato a fare è saper gestire meglio gli effetti collaterali convenzionali, quindi disporre di farmaci che possono prevenire l’abbassamento dei globuli bianchi, dispositivi che possono prevenire la perdita dei capelli e farmaci estremamente sofisticati per annullare quasi del tutto il rischio di nausea e vomito.

Questa è una storia che si è sviluppata negli ultimi cinquant’anni e penso che nel futuro avremo sempre più terapie personalizzate». 

Esisterà mai un farmaco, una cura per il cancro? 

«Credo proprio di sì. Grazie alla nuova generazione di farmaci come gli anticorpi coniugati, la possibilità di avere un elevato indice terapeutico ci porta a sperare, a credere che anche alcuni pazienti con malattia metastatica (oggi, anche in maniera dogmatica, chi ha un tumore in metastasi si pensa non sia guaribile), se ben selezionati, se ben curati, possano veramente ambire alla guarigione. Non sto parlando del cancro in maniera generica e di tutte le malattie, ma comincio veramente a credere che questo sia assolutamente possibile». 

Questo articolo è tratto dal podcast di Aureliano Stingi di Alterthink, per la serie “La Grande C” disponibile su Spotify: intervista al Professor Giuseppe Curigliano, docente di oncologia medica presso l’università di Milano. 

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