Per gentile concessione della Fondazione Comitans, diamo spazio all’intervento di Cristina Micheloni, agronoma, ricercatrice e presidente di AIAB (Associazione Italiana Agricoltura Biologica), che è partner di Fondazione Comitans nel progetto “I primi mille giorni”.
Consumare alimenti biologici fa bene al consumatore e non solo.
«La coltivazione biologica porta benefici a tutti, anche a chi non la consuma. Vivere in un territorio con alta percentuale di bio, infatti, vuol dire godere dei benefici in termini di ambiente pulito e biodiversità».
Ma cosa significa agricoltura biologica e come si connette al concetto di “cibo di valore”?
INTENSIVO SÌ, MA NELLA CONOSCENZA
«Il cibo ha un valore se fa bene e se riesce a sfamare tutti e per fame intendo non solo quella fisica, ma anche la fame di conoscenza, informazione e consapevolezza – spiega Cristina Micheloni -. Noi di AIAB cerchiamo di sfamare proprio queste necessità: consideriamo l’agricoltura biologica come un momento intensivo di conoscenza. Perché se c’è qualcosa di cui abbiamo davvero bisogno oggi è la capacità di far crescere il sapere nella relazione e nello scambio. Questo include la conoscenza informale, quella pratica e la ricerca. Un insieme che diventa innovazione al servizio di tutti, dal produttore al consumatore».
Fare agricoltura biologica non vuol dire imitare i metodi dei nostri nonni. Abbiamo ottime conoscenze ereditate dalla tradizione ma dobbiamo applicare anche l’innovazione, a patto che sia pulita. «Se penso ai valori che deve avere il cibo buono e giusto, il primo che mi viene in mente è l’essere ‘lieve’ sul pianeta, con tutto ciò che implica. Il secondo valore per me è la connessione, ovvero l’interrelazione tra tutti gli attori del sistema agroalimentare. Implica anche la circolarità, ma va ben oltre».
Un altro valore importante, secondo Cristina Micheloni, è quello dell’autenticità. «Mi piacerebbe che ci fosse una comunicazione completa e non propagandista tra il produttore e il consumatore finale, così che chi consuma il prodotto possa apprezzarlo e apprezzare l’azienda che lo produce».
DIFFONDERE CONOSCENZA
AIAB rappresenta tutti coloro che riconoscono nell’agricoltura biologica uno strumento per il benessere di consumatori, agricoltori e ambiente. «Stare bene significa essere in salute, ma anche godere di un benessere sociale ed economico. La nostra missione è fornire conoscenza, in primo luogo ai produttori agricoli, ai trasformatori e ai rivenditori, perché sappiano fare bene il loro lavoro. Poi ai consumatori e ai cittadini, afinché possano scegliere con consapevolezza».
Nella pratica cosa significa?
«Prima di tutto fare formazione negli istituti agrari, collaborare con le università, fare progetti di ricerca applicata, fornire agli agricoltori assistenza tecnica. Per quanto riguarda i cittadini, invece, cerchiamo di ricorrere alle modalità di formazione più innovative.
Per esempio, in collaborazione con Fondazione Comitans, cerchiamo di sensibilizzare i futuri genitori a partire dalla nascita e anche prima. Questa fase della vita è un momento cruciale che coinvolge tutta la famiglia. Un momento unico in cui si costruiscono nuove e buone abitudini, perché si diventa più sensibili ai temi della salute e dell’ambiente».
IL CONCETTO DI ONE HEALTH
All’agricoltura oggi si chiede molto da un punto di vista nutrizionale e anche ambientale. Una sorta di visione condivisa. Che tipo di agricoltura può soddisfare tutte le esigenze che appaiono sempre più urgenti e non rimandabili? «Parto dal concetto di One Health, secondo il quale dobbiamo stare bene tutti. Se non è così, nessuno sta bene del tutto – spiega Cristina Micheloni -. Oggi all’agricoltura chiediamo di produrre abbastanza cibo.
Cibo in quantità, ma di qualità, cioè alimenti nutrizionalmente validi per la salute. Contemporaneamente chiediamo all’agricoltura di tutelare l’ambiente e la biodiversità, di rispettare la produttività del suolo, di ridurre le emissioni che alterano il clima. Questa è oggi la grande sfida del biologico: avvicinarsi a tutti questi obiettivi, migliorare i servizi agro ambientali e allo stesso tempo adattarsi a un clima che cambia velocemente».
CHE COSA SIGNIFICA ONE HEALTH?
One Health significa letteralmente “una sola salute”, un modo per riconoscere che la salute delle persone e quella dell’ecosistema sono legate indissolubilmente e richiedono approcci e sforzi globali per progettare politiche, leggi e ricerche in cui i diversi settori cooperino per raggiungere i migliori risultati.
Il concetto di One Health è stato sviluppato per rispondere alla diffusione di gravi malattie infettive attraverso un approccio integrato alla salute e si è poi allargato fino a comprendere l’ambiente nel suo complesso dal momento che le persone, l’ambiente e l’economia sono tutti parte dello stesso sistema. Le persone, infatti, non possono vivere bene se l’ambiente e l’economia versano in cattive condizioni.
PRODURRE BIO OGGI
Praticare l’agricoltura biologica non significa “usare i metodi dei nostri nonni”. Oggi i produttori sono giovani, hanno un titolo di studio elevato e possiedono una visione globale. Lavorano seguendo una prospettiva temporale ampia, che non si limita alla singola annata, perché considera cicli ventennali, con un occhio ai bisogni delle generazioni future. La visione di questi nuovi agricoltori è più ampia anche dal punto di vista dello spazio.
Pensano in modo globale, con la consapevolezza che qualsiasi attività umana ha un impatto anche altrove. «La produzione di carne in allevamenti intensivi, per esempio, è chiaramente dipendente dalla coltivazione della soia in America Latina. Questo significa prima di tutto deforestazione e trasporto attraverso l’oceano, con un conseguente impatto negativo ambientale e sociale. Il metodo biologico basa l’alimentazione del bestiame su foraggi e granelle prodotti localmente. Per questo necessita di una programmazione di lungo periodo e di ampio raggio».
UN VALORE SOCIALE
Se teniamo conto di questa visione più ampia nel tempo e nello spazio, i criteri di “cibo di valore” diventano più chiari? «I valori che dobbiamo ritrovare nell’agricoltura sono quelli che ci permettono di fornire cibo di qualità nutrizionale tanto ai bambini di oggi quanto a quelli di domani. Un cibo di valore è quello che arricchisce l’ambiente da cui proviene. Parlo di fertilità del suolo, biodiversità, tutela dell’acqua e dell’aria, ma anche del contesto sociale. Fare l’agricoltore oggi è uno dei mestieri meno remunerativi: eppure abbiamo bisogno di agricoltori e questa categoria dovrebbe ricevere il giusto riconoscimento sociale. Il problema è che tutto il valore che sta dietro all’agricoltura biologica non si legge in etichetta».
LA FILIERA CORTA
Produrre più cibo a livello locale è fondamentale, ovviamente senza cadere nell’autarchia. Non dobbiamo rinunciare a consumare le arance se abitiamo in Friuli, perché il concetto di “filiera corta” non si basa semplicemente sulla distanza, ma sulla riduzione del numero di passaggi tra chi produce e chi compra. «Filiera corta significa cercare uno scambio più diretto possibile tra consumatore e produttore. Ogni passaggio toglie potere agli estremi della filiera, ma è necessario dare valore e potere contrattuale a entrambi». Come si fa? Le vie sono diverse. «L’ideale è l’acquisto diretto in azienda, sicuramente il più semplice, ma non sempre possibile in città».
LA PIATTAFORMA GODO
Perché un cambiamento sia reale, deve modificare le abitudini di tanti. Per questo AIAB ha messo in piedi una piattaforma digitale per la vendita diretta organizzata. «L’abbiamo chiamata GODO, cioè Gruppo Organizzato Domanda Offerta. Si tratta di una piattaforma su cui i consumatori possono prenotare settimanalmente la spesa dai soci produttori e contemporaneamente ricevere informazioni sulla stagionalità e anche sugli imprevisti – una grandinata o un freddo prolungato – che rendono un determinato prodotto non disponibile».
In questo modo non si acquista solo cibo buono e locale, ma si veicolano anche le informazioni utili, che incentivano le persone a scegliere ortaggi meno consumati ma preziosi. «Penso a cicoria, cavoli, broccoli e verze: sono prodotti che fanno bene a chi li consuma e a chi li produce. Sceglierli, in inverno, significa premiare la sostenibilità».
IL PROBLEMA DELLE MENSE
Un altro canale importante è quello della ristorazione collettiva. «Si dovrebbero far coincidere le esigenze delle mense scolastiche con quelle dei produttori locali attraverso una programmazione di lungo periodo. Per fare questo bisogna scardinare alcune abitudini, un cambiamento possibile solo se ci sono amministratori, genitori e insegnanti che comprendono la necessità e che vogliono mettersi in discussione».
I NEGOZI DI PROSSIMITÀ
Ultimo tassello, ma non meno importante, è la valorizzazione e la fornitura dei negozi di prossimità, che hanno visto il proprio momento di gloria durante il lockdown, ma che adesso faticano a trovare una sostenibilità economica. «Serve più che mai che i piccoli negozi coltivino il rapporto con i produttori locali. Questo, rispetto ai supermercati, può rappresentare un vero punto di forza». E ovviamente serve coltivare il rapporto con i consumatori: un ruolo chiave per l’ortofrutta di quartiere.