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Hai il diritto di fallire

È sempre vero che volere è potere?

Di Valeria Ronsivalle, laureata in scienze dell’educazione

A quanti di noi è capitato di fallire, di avere un insuccesso, e di sentirsi dire o di leggere frasi come…

  • «Se vuoi, puoi»;
  • «Dipende da te»;
  • «Con l’impegno e la determinazione puoi ottenere ciò che ti sembrava impossibile»;
  • «È perché non ci credi abbastanza»;
  • Quisque faber fortunae sue (ciascuno è artefice della propria sorte).

Volere è potere?

La retorica motivazionale impazza in ogni dove, utilizzata sempre più spesso sui social dalle persone comuni, improvvisate esperte in psicologia spicciola, e, ahimè, negli ultimi anni usata sempre più da professionisti della comunicazione. Da coloro che della motivazione ci hanno fatto una professione (i cosiddetti motivatori, per l’appunto), e in alcuni casi anche da professionisti della salute mentale.

Ci viene insegnato che siamo gli attori della nostra vita, e che saremo noi a influenzarne il corso.

A condizione di non abbatterci dinanzi alle avversità, di perseverare, di dedicare il nostro tempo e le nostre risorse emotive e cognitive al raggiungimento di un dato obiettivo. Ma è davvero così? Davvero “volere è potere”?

E, soprattutto: in una società in cui il successo è un valore sociale, non riuscire a raggiungere la meta che ci eravamo prefissati, cosa comporta per l’immagine che gli altri hanno di noi?

E per quella che abbiamo di noi stessi?

Stigma

Una reazione nella quale ci si imbatte spesso, dinanzi a qualcuno che ha fatto un errore o non è stato all’altezza del compito che aveva, è la sua stigmatizzazione.

“Stigmatizzare”, significa bollare, condannare con forza qualcuno, quasi a imprimergli un marchio figurativo (lo stigma).

Se ci si pensa è un modo semplice, inconscio, con il quale prendiamo le distanze da qualcosa che ci spaventa, o che non comprendiamo. O che mina le nostre certezze. Perciò ne attribuiamo la colpa a chi vive quella situazione. Così da poter pensare che a noi no, non capiterà mai. Perché noi siamo protagonisti del nostro destino.

Noi possiamo. Noi…non come quella persona.

Quella persona ha fallito perché non si è impegnata abbastanza, non ha creduto abbastanza in sé stessa. O in ciò che faceva.

Profezia che si avvera

Et voilà, abbiamo esorcizzato le nostre paure in un attimo.

In effetti, pensandoci bene, il modo in cui guardiamo alla realtà influenza il modo in cui la costruiamo e reagiamo agli ostacoli.

Lo psicologo Paul Watzlawick, nel suo “Pragmatica della comunicazione umana”, ha definito una «profezia che si autodetermina», una previsione che si realizza per il solo fatto di essere stata espressa poiché l’individuo finisce inconsciamente per determinare gli eventi che crede accadranno.

Ma questo non basta a dire che se ce la metteremo tutta raggiungeremo il risultato che ci eravamo prefissi.

È semplicistico dirlo e, oltre che non essere onesto, un discorso del genere non tiene conto delle reali variabili logistiche, economiche, emotive, cognitive, che nel nostro cammino ci troveremo ad affrontare.

Fallire e sentirsi sbagliati

Quante volte ci siamo sentiti “sbagliati”, perché non siamo stati all’altezza delle aspettative che gli altri, o noi stessi, avevamo di noi.

Come uscire da questa impasse?

Mi viene in mente una citazione di Henry Miller:

«La nostra meta non è mai un luogo, ma piuttosto un nuovo modo di vedere le cose»

Forse, piuttosto che sulla meta, non dovremmo concentrarci sul cammino? Ne gioverebbe la nostra salute, mentale, e perché no, pure fisica.

No, non sei una persona sbagliata se fallisci.

Fallire ci consente di delimitare i nostri confini. Di assumere consapevolezza dei limiti che abbiamo, così da poter aggiustare il tiro e correggere i nostri sbagli.

Ma, soprattutto, cadere ci fornisce una lezione di vita fondamentale: anche se lungo la nostra vita inciamperemo, alla fine ci rialzeremo.

Fallimento positivo

Ognuno di noi ha il diritto di fallire.

Per poter trasformare i propri limiti in trampolini di lancio da cui vedere nuovi orizzonti. Forse, ma è solo una mia opinione, il viaggio è altrettanto importante quanto la meta. Dovremmo concentrarci sul paesaggio, cercando di coglierne le sfumature.

Assaporare le emozioni e le sensazioni che ci ha regalato una camminata. Godere di ciò che abbiamo condiviso con i nostri compagni di cammino. Sfiorare l’orizzonte man mano che cambia, per cogliere il cambiamento di prospettiva.

Allora, forse, il fallimento sarà solo un frammento di quella straordinaria avventura che si chiama “vita”.

Se ti è piaciuto l’articolo ascolta i consigli del Dott. Berrino per una vita più leggera!

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