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Il coraggio di raccontare la malattia mentale 

Intervista a Cristiano Altieri, autore del libro: Alla fermata

Ciao Cristiano, ti trovo sotta alla pensilina mentre si aspetta l’autobus… 

In effetti sono stato bloccato per parecchio tempo alla fermata. Poi, finalmente, l’autobus è passato e l’ho preso al volo

L’autobus, come il treno, passa una volta sola nella vita e tu ci sei salito al volo, ci vuoi parlare del tuo libro?  

Nel mio libro racconto della mia malattia e di come ho fatto a prendere consapevolezza di questo disagio. La malattia mentale non è facile da vivere e da raccontare. E poi, naturalmente, accenno alle cure, alla riabilitazione, al percorso di guarigione. Tutto questo in circa 100 pagine dense di verità e ironia. Ironia, perché per parlare della malattia psichica, un argomento abbastanza pesante, ho voluto vi fosse spazio per una chiave ironica. Coloro che mi hanno dato un feedback si sono mostrati anche molto divertiti

Cristiano, solo i grandi artisti riescono a scatenare i sentimenti contrastanti nella lettura o nell’interpretazione. Roberto Benigni, per esempio, riesce a far ridere e piangere al contempo. Chi ha letto il tuo libro e ti ha rapportato questa reazione positiva ti ha fatto un grande complimento.

Sono venuto a conoscenza del tuo lavoro da alcuni fotogrammi del documentario: “Dentrofuori”, di Roberto Orazi. Nelle prime scene del film c’è una sequenza che mi è rimasta addosso: tu che picchetti sulla tastiera di una macchina da scrivere e racconti l’inizio di una storia, ce la descrivi? 

Il primo capitolo del libro si svolge attorno a una fermata di autobus, ho preso spunto da episodi che mi sono capitati davvero a Roma, città nella quale vivo. Una persona che ha un handicap fisico si sbraccia per prendere l’autobus.

Tutte le persone coinvolte sulla scena, chi è per strada e chi sul bus, si prodigano per andare incontro al suo bisogno. Sul mezzo pubblico sale anche una persona affetta da un handicap mentale. Parla da sola, è vestita in maniera trasandata e tutti si scostano o sorridono abbassando lo sguardo.

Questo il punto: il malato psichico trova nel sentire comune un pregiudizio molto forte, una resistenza. Ecco, all’inizio del mio lavoro ho voluto sottolineare questa differenza di reazione al disagio

È anche vero che nel recente passato, quando ero ragazzino io, erano assolutamente normali gli stigmi e anche le battute feroci su altri tipi di handicap, non su quello mentale solamente.

È possibile che con la comunicazione e anche con il tuo lavoro scritto, si possa riformare ed educare il sentire dell’opinione pubblica che si trova a disagio nei confronti di quella che viene chiamata diversità? 

Con la pandemia questo sta già accadendo, perché alla fine di questo periodo ci sono circa 150.000 persone, molti ragazzi delle scuole, che hanno necessità di essere ascoltati dallo psichiatra. Stati di ansia, depressione e altri strascichi, questo ci ha lasciato il covid-19.  

Questi dati aiutano a comprendere che il disagio mentale non colpisce solamente gli altri, “i matti”. Basta davvero poco per perdere lucidità. Una serie di circostanze negative mi hanno fatto “scapocciare”. Mi sono ammalato di depressione, ho avuto allucinazioni visive, ma ora ho preso in mano di nuovo la mia vita.

Ce n’è voluto di tempo e di cammino per arrivare dove sono oggi. La malattia mentale può toccare a chiunque: una persona che perde il lavoro e va in cassa integrazione, l’isolamento stesso vissuto nel lockdown, l’interruzione di una routine fondamentale per gli esseri umani che cercano stabilità e equilibrio… Non è che si diventa matti dal nulla, ci sono imbarazzi che possono portano a dei malesseri che possono a loro volta sfociare in malattia.

Non è nata per caso l’iniziativa della Regione Lazio che ha messo a disposizione un bonus psicologo soprattutto rivolto ai giovani, per superare questo momento di disagio causato dalla pandemia. Questa generalizzazione del disagio psicologico ci può aiutare a vincere simili pregiudizi atavici sulla malattia mentale. 

Nel passato remoto lo “scapocciato”, come lo chiami tu, poteva essere considerato qualcuno dai poteri particolari o, addirittura, da venerare, perché il folle fa uscire dall’ordinario e ti fa diventare straordinario.

Ho letto che a te piacciono alcuni autori come Carlos Ruiz Zafon che secondo me è davvero un fuoriclasse e Paulo Coelho. Coelho ha scritto Veronika decide di morire, un libro sui disagi psichici e forse anche un po’ autobiografico. Che sensibilità rimane addosso a una persona che ha vissuto un’esperienza simile alla tua? 

Dipende molto dalle persone. Io ho toccato veramente il fondo. Sono stato tre volte in una clinica e l’autore brasiliano di Veronica decide di morire è stato ricoverato come me. La sofferenza è qualcosa di molto profondo però sta alla persona capitalizzare l’esperienza.

Può covare una rabbia tipica da animale ferito ma può anche trasformare questa energia distruttiva. Grazie al percorso di cura e riabilitazione io sono riuscito a mutare questa sofferenza che mi ha toccato nel profondo e mettere a frutto questa energia per il servizio nei confronti degli altri. Anche il mio libro serve a questo, a rincuorare quanti vivono questo disagio, per dire che è possibile riprendersi la propria vita. La mia è una testimonianza.

Diversi ragazzi che lo hanno letto e che sono entrati in contatto con la comunità me lo hanno testimoniato. Il ruolo della comunità ha una grandissima importanza. Grazie a Itaca (Associazione volontari per la salute mentale) ho trovato un lavoro, mi sono reinserito. Gli strumenti, le competenze, le istituzioni per poter uscire dalla malattia mentale esistono.

Aiutare gli altri è di fondamentale importanza, possiamo essere portatori di speranza, non per vendere fumo, ma per stimolare altri a reagire e salire su quell’autobus. 

Cristiano, avevo ancora altre mille domande da farti, però queste tue parole sono già, di per sé, significative. Tu fai anche del volontariato e dunque hai già risposto in parte ma quanto conta occuparsi degli altri e averne cura per curare se stessi? 

Anche prima di ammalarmi facevo volontariato. Sono stato nello Zaire o Congo Belga. Ho sempre fatto volontariato anche con la Comunità di Sant’Egidio. Il volontariato è qualcosa che uno fa perché vuole dare qualche cosa agli altri, vuole essere utile. Ce ne sono tante, in Italia, di associazioni di volontariato.

Quando fai volontariato cresci umanamente, lo consiglio a tutti, è un’esperienza che fa bene e veramente terapeutica perché, quando tu aiuti gli altri, il primo a esserne beneficiato è proprio il volontario

Per ultimo, perché dovrei leggere il tuo libro dall’inizio alla fine? 

A chi ama la lettura, Alla Fermata, è un libro che si consuma tutto d’un fiato, almeno questo è il feedback che mi hanno dato le persone che l’hanno letto. È un libro nel quale tocco problematiche legate alla salute mentale, però fa emergere tante sfaccettature della malattia mentale, in particolare lo stigma e il pregiudizio che può e deve essere superato.

Un libro che mi racconta con ironia, divertente. Lo consiglio non solo perché l’ho scritto io, ma perché è una finestra su un ambito sociale che può essere dimenticato

Per il libro clicca qui: Alla Fermata

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