Decisione storica: dopo anni di colloqui estenuanti, più di 190 paesi hanno raggiunto un accordo per la difesa della biodiversità degli oceani. Verranno create nuove aree protette nelle acque internazionali.
Il trattato contribuirà a salvaguardare le acque che si trovano oltre i confini nazionali, che costituiscono i due terzi della superficie oceanica della Terra e che, prima, erano considerate, anche se impropriamente: ‘terra di nessuno’.
Vita
Negli oceani c’è vita che brulica, dal plancton microscopico alle balene gigantesche e ai capodogli, vita minacciata dall’inquinamento, dalla pesca industriale, dalla navigazione e dall’estrazione mineraria in acque profonde.
«Non siamo mai stati in grado di proteggere e gestire la vita marina nell’oceano al di fuori delle giurisdizioni dei paesi. Questo è un fatto assolutamente rivoluzionario»
ha dichiarato Rebecca Hubbard, direttrice del consorzio delle organizzazioni non governative High Seas Alliance, al Washington Post.
Il problema?
Nonostante i membri delle Nazioni Unite abbiano votato, si prevede ci vorranno anni prima che il trattato venga adottato formalmente dagli Stati membri ed entri in vigore.
Come dire: tra votare e ratificare c’è di mezzo il mare.
Il risvolto positivo?
Una volta che il trattato entrerà finalmente in vigore, le nazioni potranno iniziare a proporre l’istituzione di nuove aree di protezione marina.
Certo, anche questa potrebbe assumere il livello di una sfida perché è davvero complicato pattugliare le acque internazionali.
Chi potrà controllare in modo efficace, ad esempio, la pesca illegale e la relativa schiavitù dei marinai impiegati?
Interessi enormi
Nessun refuso, gli schiavi sfruttati per la pesca esistono davvero:
«Il 26% dei 16.000 pescherecci industriali ricorre al lavoro forzato.Si stima che circa 100.000 persone lavorino su quelle navi»
Solo l’inizio
Tuttavia… il trattato è solo un inizio necessario in un quadro di pressioni ambientali gigantesche e insostenibili.
Del cambiamento climatico se ne discute molto e l’impatto della temperatura sulla biodiversità oceanica è noto a tutti.
A questo si aggiunga la voracità famelica estrattiva.
Il fondo degli oceani è considerato una miniera ‘inesauribile’ che fa gola alle compagnie minerarie e agli Stati energivori.
Un paradosso irresolubile, un ciclo di cause e concause che si rincorre senza posa: aumenta l’inquinamento per ricavare energia e diminuisce la capacità oceanica di assorbire il carbonio e ciò non aiuta, è evidente, a tenere sotto controllo il cambiamento climatico.
Ricchi e poveri
Chi può beneficiare delle scoperte in alto mare?
Chi trae profitto se gli scienziati trovano un composto in una creatura marina che cura una malattia?
Nel 2010, ad esempio, la Food and Drug Administration ha approvato l’uso di un farmaco antitumorale derivato da una spugna di mare.
Il trattato prova a regolare questo squilibrio, visto che solo i paesi sviluppati posseggono la tecnologia per la ricerca in alto mare.
Come dire: il trattato ora c’è, bisogna trattarlo con cura.
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