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Mi ha colpito una foto mentre curiosavo su Twitter: un quaderno a righe e una penna bic nera impugnata da uno che scrive con la destra. Un orologio di quelli moderni e sempre connessi, nero anche quello, sull’altro polso e uno smartphone acceso e messo sotto carica… tutto poggiato sul tavolino ribaltabile di un treno che sfreccia verso dove?
E poi la didascalia che orienta lo sguardo, ormai agganciato definitivamente: «Come si passa il tempo in treno? Ad esempio, si può preparare una lezione sulla Great Emu War, la guerra che l’Australia dichiaro agli Emu (uccelli autoctoni, simili agli struzzi) nel 1932».
La curiosità non è solo femmina e vado a cercare la bio dell’autore del tweet, Fabio Chinellato: (@f_chinellato) Ph.D., dottore forestale, zoologo, lavoro con alberi, animali e metodo scientifico. Insegnante e amante della divulgazione. Just passionately curious”.
Gli scrivo, mi risponde subito. Concordiamo un’intervista.
Prof. Chinellato, come si passa il tempo in treno?
«Il tempo passato in treno è un tempo sospeso, un’attesa prolungata dell’arrivo. In questo caso stiamo parlando di un viaggio lungo come quasi tutta l’Italia e nessuna pressione per lavori da consegnare a breve termine; quindi, mi sono potuto permettere il lusso della noia e del “buttare giù” idee che prenderanno forma – spero – di progetti articolati e che magari vedranno la luce distanti nel tempo e nello spazio rispetto a quel vagone.
Nell’immagine che ha citato si intravede un possibile (anzi, probabile) progetto didattico e/o divulgativo che parte da un episodio storico buffo e particolarmente “goloso” per la mia curiosità, che non ha mai imparato a starsene zitta».
The Great Emu War
«Ne faccio un breve riassunto: Alla fine della Prima guerra mondiale il governo australiano assegnò ai veterani delle terre da coltivare nelle disabitate aree occidentali del paese. L’agricoltura e l’allevamento, come molti altri settori, si scontrarono con la crisi del 1929, a questo si aggiunse l’arrivo in migrazione di oltre 20.000 emù, uccelli non volatori simili agli struzzi e nativi del continente australiano.
Gli uccelli cominciarono a danneggiare le coltivazioni e – forse peggio – aprendo dei varchi nelle reti di recinzione consentivano l’ingresso dei conigli, specie aliena per quelle terre, introdotta dai coloni nel XVIII secolo e diventata in breve tempo un flagello senza predatori. Il governo australiano consentì ai veterani dell’esercito di utilizzare armi da guerra per sterminare gli “uccelli invasori”, ma l’impresa si rivelò estremamente ardua per la grande resistenza e per l’intelligenza della specie.
Dopo poche settimane, ci si rese conto che non si sarebbe cavato un ragno dal buco… o un emù dal campo. Fine, bandiera bianca, trattati di pace, gli emù sono diffusi ancora oggi nella zona. Chissà se sapranno mai di aver vinto una guerra».
L’immagine riflessa dal suo smartphone rimanda a un articolo di Wikipedia, i suoi studenti si accontentano così?
«Non si accontentano, così come non mi accontento io. Lasciatemi però spezzare una lancia a favore della famosa enciclopedia libera on-line: è uno strumento straordinario per farsi quantomeno un’idea di un determinato argomento.
Spesso (anzi, quasi sempre) le affermazioni sono accompagnate da note che riportano le fonti e danno la possibilità di approfondire. L’argomento che ho scelto, la Great Emu War del 1932, non è facile da rinvenire in manuali e testi, in questo caso anche Wikipedia può essere un buon punto di partenza per fissare dei cardini da approfondire, magari andando in cerca di articoli specifici o documenti dell’epoca».
Curiosità appassionata
Dottor Chinellato, V&S WEB condivide questa curiosità appassionata, ci racconta come riesce a condividerla anche con i suoi studenti?
«I miei studenti, purtroppo per loro, sanno che se trovo un argomento interessante mi ci tuffo e li trascino a fondo con me. Forse la cosa non è così terribile perché spesso le attività che si basano su argomenti “non tipici” sono quelle che raccolgono maggiormente l’attenzione.
Credo che la passione per la materia insegnata sia una componente fondamentale, se non l’ingrediente di base, del bagaglio di chi si mette in cattedra, a qualunque livello: dalla scuola dell’infanzia ai master, fino ai corsi professionali. Chi ti ascolta segue la tua passione, il tuo coinvolgimento. Se piace a te forse piacerà a loro, se non piace a te sarà difficile coinvolgere qualcuno.
In questo ho avuto un maestro inarrivabile, una miniera di passione e storie di zoologia. Oggi questo maestro non c’è più, ma ciò che ha seminato cresce rigoglioso».
Ecosistemi
Perché ha ritenuto che questa storia potesse ancora insegnare qualcosa?
«Ritengo sia una storia straordinariamente ricca di collegamenti multidisciplinari. Si parte dalla storia del colonialismo fino alle vicende del ‘900, dando un’occhiata anche a ciò che succede in un continente spesso tralasciato dai manuali scolastici; si può approfondire la geografia, in particolare la biogeografia, materia che mi appassiona moltissimo – coinvolgendo i percorsi evolutivi delle diverse specie, in questo caso la storia evolutiva delle specie simili allo struzzo (emù in Australia, nandù in Sud America) e di ciò che è successo alle specie animali e vegetali dopo la frammentazione del supercontinente di Gondwana che conteneva la quasi totalità di quelle che sono oggi terre emerse australi.
Non ultimo si può approfondire il ruolo dell’uomo nella modificazione degli ecosistemi e dell’enorme impatto sulla flora e sulla fauna delle isole, in particolare dal ‘500 in poi. Ricordate i Dodo? Ecco, si sono estinti dopo che hanno incontrato noi umani, arrivati con navi di legno spinte dal vento.
Questa storia si può raccontare come luminosa eccezione alla più triste regola per cui dove arriva l’uomo le specie native scompaiono. Non è un caso se ormai si parla apertamente di sesta estinzione di massa (l’ultima, la quinta, avvenne 66 milioni di anni fa quando un asteroide spazzò via i Dinosauri e il 75% delle specie viventi, lasciando fortunatamente spazio a noi mammiferi)».
Viaggio
E nel suo prossimo viaggio in treno quali storie potrebbe inseguire ancora?
«Questo ancora non lo so, ci saranno innumerevoli storie che mi passeranno davanti agli occhi (per questo ringrazio anche la mia “bolla” su Twitter, mai avara di spunti), molte incontreranno la mia curiosità, alcune si pianteranno nella mia mente e non mi daranno pace finché non le avrò approfondite in modo sufficiente per raccontarle a me stesso.
A quel punto vedremo cosa uscirà dalla penna. Durante un corso di fotografia naturalistica il mio professore ha detto una frase che mi è rimasta appiccicata: “Se in un qualunque punto di un bosco non trovi nulla che valga la pena fotografare, vuol dire che non hai guardato bene”. Parafrasando potrei affermare che ci sono infinite storie di “scienza” da raccontare, basta saperle scoprire».
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