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Acini, papere e… agricoltura integrata!

Un esempio simpatico made in Sudafrica

Da: papaveri e papere a… acini e papere il passo è breve e fruttuoso. 

Dove? A Stellenbosch, in Sud Africa. 

Come? Si è arruolato un vero e proprio esercito di Anatre Corritrici (Anas platyrhynchos domesticus) che sgranocchiano parassiti e contribuiscono a concimare, con grande soddisfazione degli animali e degli agricoltori, il vigneto. 

La Reuters lancia la notizia con termini roboanti: «Stormi di anatre bianche, nere e marroni cacciano lumache e insetti mentre pattugliano le viti in un vigneto nella città vinicola di Stellenbosch, in Sud Africa, aiutando i proprietari a stare alla larga da pesticidi e fertilizzanti sintetici».

Sta di fatto che circa 500 anatre corritrici indiane lavorano di buona lena, h 24, operando (ignare) in due settori differenti: 

  • da disinfestatrici biologiche  
  • da intrattenitrici, estorcendo larghi sorrisi agli avventori e degustatori della tenuta vinicola Vergenoegd Löw. 

L’amministratore delegato della tenuta, Corius Visser le chiamano “Le soldatesse dei vigneti”. 

Le anatre sono il fulcro originale delle pratiche agricole rigenerative dell’azienda. 

Si è scelta questa specie perché è fornita di gambe lunghe e deambula in una postura eretta che permette loro di raggiungere le lumache tra le foglie. 

Le loro deiezioni sono ricche di sostanze nutritive e assicurano al vigneto la concimazione ideale. 

Le anatre seguono una routine quotidiana: al mattino vanno nei vigneti per prevenire danni alle colture e la sera tornano nei loro recinti (non discutono sulla paga e non sentono la necessità di essere sindacalizzate). 

Esistono altri esempi di agricoltura intelligente? 

Lo chiediamo a Nicola Bressi, zoologo. 

«Ce ne sono, certo che ce ne sono. Non sono moltissimi. La maggior parte delle aziende si è specializzata su un prodotto, una monocultura.  Allargare gli orizzonti significa procedere a investimenti diversificati, personale… costi. 

Gli esempi virtuosi, come quello delle papere e gli acini del Sudafrica, partono da sperimentazioni antiche. I nostri vecchi contadini facevano funzionare le loro fattorie in modo integrato.  

Nella zona in cui vivo, a Trieste, tra i filari dei vitigni, che mettono le foglie molto tardi, erano coltivati fiori: narcisi e giacinti. In primavera, le donne arrotondavano il reddito familiare recidendo i fiori per venderli al mercato (non c’era Interflora con i fiori che arrivano dall’Africa o dall’Olanda). A distanza di anni, ancora oggi, tra i filari i tuberi dei fiori che non sono autoctoni, continuano a sbocciare e a testimoniare di questo ‘normale’ modo di procedere. 

Un’altra coltura che tollera la mezz’ombra e veniva messa a dimora sotto le viti era quella del rafano. Ricordo le pagine di un manuale di orticoltura inglese, al capitolo: rafano, riportava: “You will not get rid” che significa: non te ne libererai facilmente. Una pianta molto rustica che continua il suo ciclo malgrado non la si coltivi da decenni». 

Fin qui esempi di agricoltura allargata, ma integrata con animali?  

«Mi vengono alla mente delle pecore nane che si vedono ancora nelle mie zone. Questa razza non è autoctona, pare sia stata portata dagli ottomani attraverso i Balcani. 

Questa razza minuta e molto antica era utilissima ai coltivatori viticoli. L’altezza contenuta impediva alle pecore di brucare i grappoli ma permetteva loro di tenere in ordine il terreno sottostante e, conseguentemente, di concimare. 

In un esperimento molto simile, in un’azienda del Centro Italia, vengono allevate le vacche negli uliveti. L’azienda produce olio e vende carne biologica. Gli animali mangiano l’erba e i polloni degli alberi e non passano la loro vita in stalle anguste.  

In alcune isole mediterranee, in Croazia, sull’isola di Cherso, le pecore vengono fatte pascolare nei vigneti in zone molto molto rocciose, per la stessa ragione… 

Esempi virtuosi ce ne sono tantissimi e la tradizione è storicamente affermata. Ce ne siamo solo dimenticati».  

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