I prodotti di origine animale sono uno dei principali costituenti della dieta umana. Rappresentano la fonte principale di energia, proteine, microelementi e sostanze bioattive.
Gli impatti negativi sulla salute più diffusi legati al consumo di prodotti animali sono però:
- l’obesità
- l’aterosclerosi
- le malattie cardiovascolari
- il cancro.
Cosa dice l’Agenda ONU?
Oltre che incidere negativamente sulla salute umana, il consumo di prodotti animali è controverso a causa della preoccupazione sul benessere degli animali da allevamenti intensivi e dei problemi di protezione ambientale.
L’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e in particolare il 12° Obiettivo di Sviluppo Sostenibile (SDG), mira a promuovere il consumo e la produzione responsabili e a passare a modelli più sostenibili entro il 2030.
Due tipi di azioni possono ridurre l’impatto ambientale negativo del consumo di carne:
- Controllare la produzione
- Sviluppare abitudini di consumo specifiche.
Consumo sostenibile
Va da sé che il consumo sostenibile dipenda dalle scelte e dai cambiamenti individuali dei soggetti che, a loro volta, derivano dall’educazione, dalla sensibilizzazione e dall’informazione specifica.
Le raccomandazioni nutrizionali dei paesi avanzati suggeriscono e spingono verso una dieta a base vegetale, scegliendo eventualmente carni magre, non lavorate, prodotti biologici/ecologici e quelli con una minore impronta di carbonio evitando gli sprechi alimentari
Meno allevamenti intensivi, meno occupazione?
Un altro tema ricorrente nel dibattito ‘carne sì o carne no’ che esula dal trittico: salute-etica-ambiente, ha a che fare con l’economia e in particolare sulla forza lavoro.
La diminuzione di consumo di carne da allevamento potrebbe portare a un ridimensionamento economico con conseguenti contrazioni di impiegati nel settore zootecnico?
Se calasse il consumo di carne e, di conseguenza, diminuissero gli allevamenti intensivi … sarebbe davvero una tragedia occupazionale?
Alcuni studi suggeriscono che una transizione verso l’alimentazione a base vegetale potrebbe portare a nuovi posti di lavoro nella produzione e nella lavorazione di vegetali.
Studi scientifici
In un paper della Cornell University si quantifica la perdita di posti di lavoro nell’eventualità che la produzione di carne bovina fosse sostituita dalla coltivazione di vegetali.
I calcoli suggeriscono che oltre 1,5 milioni di impiegati nel settore zootecnico potrebbero perdere il loro impiego, ma questo disavanzo verrebbe compensato dalla crescita di altri settori legati alla produzione e alla lavorazione agricola.
Un altro studio dell’International Labour Organization e della Inter-American Development Bank, ha stimato che una transizione verso l’alimentazione vegetale farebbe perdere 4,3 milioni di posti di lavoro, ma porterebbe impiego a 19 milioni di persone solo in America del Sud e Caraibi
Piccoli allevamenti: settore in crisi
Fatto ancora più cruciale di cui non si parla abbastanza è che gli allevatori — parliamo soprattutto di quelli di piccola scala — stanno già perdendo il lavoro e questo è dovuto al fatto che negli ultimi 30 anni produrre carne e derivati è diventato molto più oneroso e complicato.
In Italia come nel resto del mondo, i piccoli allevatori si sono ritrovati a competere con enormi aziende che possono abbattere i costi, producendo molto di più.
Le modalità di produzione sono cambiate, in pochissimi riescono a guadagnare abbastanza continuando a produrre come si faceva in passato e le nuove generazioni sono sempre meno interessate a questo tipo di impiego.
Tutto questo non è dipeso solo dall’aumento della sensibilità, se c’è stato, verso i diritti degli animali, né dall’incremento del numero di vegetariani e vegani.
Conclusione
Pertanto, la riduzione del consumo di prodotti animali non dovrebbe essere vista come un attacco alle persone che lavorano nel settore zootecnico, ma, invece, come un passo necessario per proteggere il benessere degli animali, l’ambiente e anche i diritti dei lavoratori.