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Le donne e i mostri

Quale giustizia contro le violenze domestiche?

«Quando ho iniziato a ribellarmi, a quest’uomo, sono stata sequestrata in una stanza come un animale in gabbia. Sfruttata sul lavoro nell’azienda di famiglia senza alcun riconoscimento economico e contributivo, minacciata di morte e stalkerizzata insieme ai miei anziani genitori. Più volte ho subito e denunciato lesioni, maltrattamenti e attentati alla mia incolumità. Intimidita dalle continue aggressioni fisiche e dai vari tentativi di strangolamento. L’ultimo accaduto nel 2011 alla presenza di una minore!

Inizialmente ho taciuto per la paura di essere ammazzata, per la vergogna e il timore di non essere creduta. Molte volte sono fuggita, sono stata sempre raggiunta, ovunque, punita e riportata a casa come un oggetto di proprietà. Sono stata sopraffatta economicamente e professionalmente, tra poco non avrò più nemmeno un’abitazione. Il mio carnefice ha avuto tutto il tempo di occultare, con agio, ingenti somme di denaro, frutto anche del mio lavoro. E paradossalmente ne uscirà impunito grazie alla prescrizione.

E quando questa storia verrà dimenticata, la mia vita sarà seriamente in pericolo. Ho sperato di uscire da questo incubo e di poter finalmente essere una donna libera. Solo nel 2011, dopo l’ennesimo tentativo di strangolamento, sono intervenute le forze dell’ordine. E solo dopo varie denunce e sollecitazioni all’autorità giudiziaria, ho visto il mio inferno racchiuso in un discutibile capo di imputazione. “Maltrattamenti in famiglia” e “violazione degli obblighi di assistenza familiare”.

Un’inezia se rapportati alla gravità dei fatti. Non è mai stata disposta alcuna forma di restrizione o allontanamento, più volte invocata, per gli episodi di violenza subiti, denunciati e documentati. Ho potuto constatare sulla mia pelle, con terrore e devastazione, che la denuncia peggiora e acuisce la rabbia e il desiderio di vendetta dell’aguzzino.

E porta noi vittime a confrontarci con l’omertà e l’indifferenza di coloro i quali assistono allo scempio della nostra vita. Dei molti che sapevano e dei pochi disposti a testimoniare in un’aula di tribunale. La verità fa paura più della bugia. Perché per raccontarla ci vogliono grandi valori e grande coraggio e spesso, a causa di comportamenti omertosi e indifferenti, nulla accade.

La Giustizia, a cui con fiducia mi sono affidata, mi ha resa più debole ed indifesa. Poiché non ha dato seguito nell’immediatezza a nessuna forma di tutela, agevolando la controparte nelle sue condotte vessatorie. Il sistema a cui avevo chiesto aiuto e protezione mi ha schiacciata, lasciandomi sfinita nel mio ruolo di vittima. Poiché solo a seguito delle molteplici denunce, ai certificati medici, alle registrazioni delle violenze fisiche e psicologiche subite, ho ottenuto il rinvio a giudizio.

Sapevo che non sarebbe stato facile. Ma mai avrei immaginato che, con il rinvio a giudizio, per me sarebbe iniziato un calvario giudiziario di 7 anni. Fatto di proroghe, astensioni, difetti di notifica, sostituzione del difensore, certificati di malattia e pretestuosi ricoveri dell’imputato. A metà del processo il giudice viene trasferito ad altro ufficio giudiziario, ed il processo deve ricominciare daccapo.

Mia madre, in tempi non sospetti, nel dicembre 2015, scrisse queste parole al Presidente della Repubblica Mattarella. “Questo vorrebbe dire che si rischia di dover rifare tutto daccapo con un altro mostro da combattere che si chiama prescrizione. Un meccanismo che la legge fornisce ai delinquenti per uscirsene puliti da tutte le loro malefatte “.

E così è stato! Cronaca di una prescrizione annunciata. Subentrato il nuovo giudice, il processo è ripartito ex novo, così come le manovre dilatorie della controparte. Ma al peggio non vi è mai fine! Anche per questo giudice incombe il trasferimento in Cassazione. E nonostante quest’ultimo avesse mostrato tutte le buone intenzioni di portare a termine il processo, il giorno fissato per l’udienza dell’imputato, questi viene, con tempistica sospetta, ricoverato!

Il prosieguo è un susseguirsi di astensioni, trasferimenti, ed il subentro di un altro giudice (terzo!). Che dovrà, in poche udienze, se mai sarà messa nelle condizioni di istruirle, accompagnarmi alla prescrizione prevista per febbraio 2018.

Vi informo che il mio ex marito ha già avuto molteplici denunce. Non solo dalla scrivente, ma già dal precedente nucleo familiare (dal 1994 a oggi), per maltrattamenti, violenze e mancato mantenimento di minori, tutte destinate all’oblio. Il mio calvario, e quello della mia famiglia, resterà vano.

Sedici anni, 9 di maltrattamenti e 7 nei tribunali, mi hanno insegnato che, nonostante tutto, il vero coraggio è nella verità. Anche quando incontri addetti ai lavori inaffidabili, inermi e moralmente disinteressati, gente che la verità la fa a pezzi per mestiere o peggio ancora per spaventare, sottomettere, o per interessi personali.

Sono stati e sono anni difficili. In questo momento di grande disagio e tristezza mi sono ammalata di cancro e forse anche per questo nessun mostro mi spaventa più! Vivo da anni situazioni surreali, kafkiane. Tanto da chiedermi se tutto quanto mi accade non sia determinato da un malvolere di cui le vittime si marchiano indelebilmente: se sei vittima lo sarai sempre!

Il carnefice, ancora oggi, viene a riprendermi e mi perseguita strumentalizzando la giustizia e creando una rete omertosa di compromessi e di illegalità. Ed anche questo è straziante: la Giustizia alla mercè di malfattori.

Per superare un’ingiustizia la vittima ha bisogno di dare un senso, una svolta al dolore vissuto. Io l’ho fatto, in un percorso sociale. Ho iniziato a costituire su tutto il territorio nazionale gruppi di auto mutuo aiuto, in rete, e un’associazione di nome Manden – diritti civili e legalità. Siamo professioniste e non, “uscite” dalla violenza.

Associazione Manden

Abbiamo come scopo quello di istruire le donne sui percorsi da intraprendere. Le prepariamo alla delusione di processi lunghi e di aspettative spesso negate da un sistema deficitario, ma infondiamo loro anche la speranza e il coraggio della rinascita.

Siamo diventate un esercito, e con noi tanti professionisti che di questa battaglia hanno fatto una missione. Vi scrivo perché, come tutte le donne che rappresento, voglio una legge che mi tuteli. Le leggi ci sono, non ne facciamo altre! Spesso sono proprio gli addetti ai lavori che non le applicano.

Più che una legge, vorrei un Paese con operatori della giustizia che non mi infliggano ulteriori umiliazioni, ri-vitimizzandomi. Una legge che si schieri dalla parte di chi subisce le prevaricazioni, le violenze, e che non salvaguardi oltre ogni ragionevolezza, delinquenti e assassini! Troppe sono le donne uccise, maltrattate e umiliate, non solo dal carnefice, ma anche da uno Stato assente e con leggi che tutelano i criminali.

Il trascorrere del tempo avvilisce, destabilizza e fa perdere, a noi vittime, ogni speranza e opportunità di ricominciare a vivere libere da questi mostri. Questa lettera non è solo una disperata richiesta di aiuto personale, ma la voce di molte altre donne che rappresento.

Il mio percorso è segnato, la mia vicenda (DIS)umana andrà al vaglio delle istituzioni Europee. Ma io sono una donna italiana e pretendo che sia il mio Stato a tutelarmi, a difendermi e a riconoscermi la Giustizia che merito e che da anni mi viene negata!

Ho sacrificato già troppo della mia unica vita. Non voglio più seppellire nulla di me, soprattutto la mia DIGNITÀ.Perché è meglio morire lottando, piuttosto che restare inermi, davanti a tanta immeritata e irragionevole ingiustizia.

Sono certa che lottando si vince ugualmente, anche se non si ottiene quello che è legittimo chiedere e doveroso ottenere: giustizia. Oggi ho bisogno di risposte concrete. Per me e per tutte quelle donne che hanno avuto e avranno il coraggio di denunciare. Ma soprattutto ho bisogno di credere in una Giustizia Giusta anche per noi».

Grazia Biondi, 19 luglio 2017

Lettera indirizzata alla presidente della Camera Laura Boldrini, al vicepresidente del consiglio Maria Elena Boschi, al ministro della giustizia Andrea Orlando e alla presidente della commissione parlamentare di inchiesta Francesca Puglisi

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