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Nella fragilità la forza, nell’imperfezione la consapevolezza

Un terremoto distrugge anche le certezze. Ma dalle macerie si può riscoprire il bello, è quello che si scopre leggendo Il piccolo inventario di saluti, di Carla Corsi

Carla Corsi

Carla Corsi, il tuo Piccolo inventario dei saluti, è stato per me, come dire: una sorpresa annunciata. Ecco, una sorpresa che non mi ha colto di sorpresa.

Me lo sentivo. Avevo già colto e assaggiato il valore della tua sensibilità artistica in alcuni tuoi post pubblici, su Twitter. È proprio per questi che ti avevo contattata e poi, il libro, pubblicato da poco.

Quando ero ragazzino, alla domenica pomeriggio, in TV, davano ‘L’altra domenica’, un programma di Renzo Arbore. Il critico cinematografico, tra le varie gag, era un Roberto Benigni giovanissimo e Arbore poneva domande sul film della settimana.

Benigni, il critico, non era manco andato al cinema e rispondeva in modo vago, prendendo tempo, rigirandosi sulla sedia, si confessava solo alla fine, quando ormai era già stato smascherato. Divertentissimo. Io volevo fare lo stesso con te, volevo intervistarti senza essermi impegnato nella lettura, ma è stato un bene tu mi abbia ‘obbligato’ a leggerlo e a leggerti con attenzione.

Non mi sono affatto pentito, anzi. Erano anni che non leggevo niente di così bello. Bene, ora credo di essere autorizzato a procedere e a confezionare insieme un articolo che riguardi tu e il tuo lavoro, un’intervista almeno.

Ma, dopo l’esperienza con il Piccolo inventario dei saluti, non me la sento più. Preferirei invece continuare il gioco epistolare che caratterizza il tuo lavoro, mi piacerebbe dare seguito a una sorta di postfazione da apporre magari a margine della mia copia, quella che custodisco sottolineata.

Che dici? Procedo? Cara Agata (il nome della protagonista), c’è una domanda, tra le mille possibili, che non ti voglio e non ti posso fare, assolutamente.

La domanda alla quale non devi rispondere, ti prego di non farlo, suona più o meno così: “Ma la storia è vera?”. Come se ‘vero’ fosse sempre sinonimo di esatto. Ecco, questa domanda non te la voglio fare.

  1. Piuttosto, Agata, il tema del terremoto… le vibrazioni sismiche appaiono tra le pagine nella loro forma distruttiva, alcune volte, ma alle volte mi è parso di coglierne anche sfumature positive. Dalle macerie del crollo è possibile costruire anche qualche cosa di bello?
  2. Perfezione e imperfezione, questo è il dilemma. La consapevolezza dell’essere imperfetti, vulnerabili, è davvero una delle basi più solide sulle quali costruire l’esistenza e la resistenza?
  3. A proposito di esistenza, percepire l’altro, osservarlo ed essere percepiti per quello che si è o si possa diventare, è un altro tema forte del tuo libro. Qual è il contrario di trasparente?
  4. Poesia, la bellezza delle parole, l’ombra che queste imprimono sul foglio… Noi siamo più ombre che luce ed è da questo barlume che nasce la poesia, è davvero così? Perché?
  5. Tu, Agata, scrivi a una bimba di tre anni, ma in fondo stai scrivendo per ordinare i tuoi sentimenti, per ricucire le tue ferite. Quanto ti è stato utile partorire e mettere in ordine queste righe vere?
  6. Agata, grazie di cuore.

Ps: Potresti leggere a voce alta alcuni passaggi tratti dal Piccolo inventario dei saluti?
Spero molti tra gli amici di Vita&Salute Web si sentano costretti a leggerti, io lo consiglio vivamente, fa bene alla Vita e alla Salute.

Eccomi qui, Davide. Provo a ritagliare un po’ di tempo da mia figlia per rispondere alle tue domande che sono davvero belle e prive di qualsiasi banalità.

Prima di continuare, grazie per aver letto il Piccolo inventario dei saluti, sono estremamente grata a chi mi dà una possibilità; e sono sempreì davvero felice se il mio libro riesce a lasciare una traccia o un segno. Mi piace questo tuo suggerimento di continuare il gioco epistolare iniziato da Agata nel libro e di far parlare ancora un po’ lei, che contiene in sé molte donne reali.

Allora cominciamo, Agata è pronta a rispondere.

1. Il terremoto dell’Aquila

Ho studiato in una città piccola, confortante e accogliente; con spigoli smussati e arrotondati che non facevano troppo male e mi consentivano di appassionarmi a quello che facevo senza troppi intoppi. L’Aquila, come dico nelle mie lettere, era Casa. Con la lettera maiuscola, ma soprattutto con un tetto che sapeva proteggermi dalle piogge più intense.

Il terremoto del 6 aprile non ha solo colto di sorpresa tutti, ma ha devastato tutti e fatto a brandelli tutti, come fa ogni terremoto che ha voglia di affermarsi. E lo ha fatto anche con me, mi ha messo davanti alla caducità dell’esistenza in maniera netta e brutale. Mi ha urlato nelle orecchie che niente dura, niente è per sempre. Non lo sapevo? Certo che lo sapevo.

Ma certe cose si sanno spesso solo a metà, con un angolo di cuore che rimane sempre rivolto alla certezza dell’eterno. Ma tu mi chiedi se da qui, se da questa rottura in mille pezzi, può in qualche modo contorto scaturire del bello. E a me viene da dire sì, che deve essere per forza di cose così, altrimenti in quei brandelli di prima ci si rimane intrappolati e invece la vita urla sempre un po’ più forte del dolore (e a un certo punto bisogna stare a sentirla).

A me il terremoto ha lasciato traccia, oltre che negli incubi e nella paura dei rumori improvvisi di assestamento della casa, anche in un’epilessia notturna che con il tempo mi ha fatto rincontrare con il mio essenziale, con quello che era rimasto nelle macerie credendosi morto. Questo riavvicinarsi a sé contiene davvero molta bellezza.

2. Mi chiedi di perfezione e imperfezione e se la vulnerabilità e la fragilità possano essere basi solide su cui costruire esistenza e resistenza (mi piace questo accostamento perché esistere è sempre anche resistere, altrimenti ci si sta limitando a respirare).

Non so se sia sempre così e soprattutto se lo sia per tutti. Lo è per me. La fragilità e la vulnerabilità, la presa di coscienza di questo – e quindi l’affermazione candida a me stessa e agli altri del bisogno di tempo e aiuto – ha costruito nel tempo un sentiero preciso e delineato che mi permette di camminare seguendo una direzione, accogliendo sempre la caduta. Ogni volta che sono fragile e vulnerabile sono anche nuda e quindi semplice, da capire e da salvare.

Vuoi sapere quale sia il contrario di trasparente

Ci ho pensato tutta la notte, nel sonno e mi è venuto in mente il termine INNEGABILE. Nelle relazioni umane per non essere trasparenti e riuscire ad affermarsi per quello che si è, anche in caso di cieca e determinata indifferenza da parte degli altri, bisogna essere innegabili. Innegabilmente se stessi; nei propri punti di forza, capacità, talenti e, ancora una volta, nelle proprie debolezze e fragilità. Ciò che è innegabile non può essere invisibile. Il contrario di “trasparente”, quindi, è “innegabile”.

4. Da cosa nasce la poesia?

In una lettera scrivo “la poesia non è cosa da divinità” e continuo qui adesso, è una cosa proprio da donne e uomini. Perché, secondo me, dalla perfezione – che appartiene solo alla divinità – non può nascere qualcosa che parli intensamente di noi e con noi; proprio perché non siamo perfetti ma fallibili, esposti al vento e alla pioggia – ma anche al sole e alla brezza gentile.

Questo essere invischiati nell’ombra e nella luce è il motore delle parole poetiche; ogni sentimento incerto, un po’ storto, direi umanissimo, nasce da questo anelito alla luce, pronunciato a parole nell’ombra. Ciò che parla di noi davvero, quello in cui riusciamo a specchiarci, lo riconosciamo come vicino, prossimo, e quindi diventa per noi afferrabile, comprensibile.

La poesia, credo, sia in mezzo a noi, sotto i nostri piedi, nelle nostre mani. Solo noi possiamo coglierla e dedicarla agli altri. E quando lo facciamo il buio diventa meno fitto, le ombre meno opprimenti.

5. Far nascere mia figlia Nina è stata la scossa fondamentale

Mi ha fatto decidere di ricostruire e ricostruirmi. In lei e nella sua estrema vulnerabilità ed estremo bisogno dell’altro per sopravvivere, c’era il mio dover smettere di crogiolarmi nelle ferite; non può durare per sempre, anche se a un certo punto ci si abitua, quasi.

Nina è stata quella vita che ha urlato più forte del dolore e che mi ha imposto, non chiesto ma imposto, la presa di responsabilità della sua crescita, del suo benessere, serenità e felicità. E per fare questo bisogna curare prima se stessi, altrimenti si trascina soltanto in un gorgo doloroso e imperdonabile.

Ecco qui, Davide, mi sembra che Agata abbia risposto a tutto. Spero sia esaustivo e comprensibile.

Per quanto riguarda la non domanda iniziale, posso dirti che sono storie vere, al plurale, alcune mie, alcune di altri e sono confluite in questo mio primo libro.

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