Tra queste due affermazioni “voglio stare solo” e la rassegnazione manifestata dal più desolante ‘sono da solo’ passa un’enormità. Un’enormità soffocata di solitudine, certo, ma non solo.
Un paper recente, pubblicato dal gruppo di ricerca della Harvard Medical School e dall’Adamo Bioscience, mette in relazione la solitudine (intesa qui come isolamento) con l’insorgenza delle malattie metaboliche e la perdita della salute mentale.
Le cause e gli effetti si rincorrono in una sorta di circolo vizioso davvero devastante per ogni aspirante alla salute olistica.
Isolamento epidemico
«La solitudine, o isolamento sociale percepito, è uno dei principali predittori di mortalità per tutte le cause ed è sempre più considerata un’epidemia di salute pubblica che affligge porzioni significative della popolazione in generale».
Questo l’incipit della ricerca. Non male come inizio, no? O forse è proprio male, malissimo…
Ovvietà argomentata
Che l’isolamento continuativo e subito non fosse proprio ‘salutare’ lo si poteva intuire anche da soli. Tutti hanno vissuto il contraccolpo dei lockdown, ma non solo, legati alla manifestazione del coronavirus. Gli incontri limitati, la paura e il divieto di partecipazione agli incontri e alle riunioni in presenza, hanno contribuito ad acuire la sensazione pesante dovuta alla solitudine.
Lo studio però argomenta e motiva il sentore comune anche sperimentato in prima persona, lo rende dimostrabile da un punto di vista scientifico e percentuale su larga scala.
È paradossale che l’isolamento decretato per ridurre il dilagare di una pandemia, possa scatenarne, a sua volta, altre e di altro tipo…
Asocialità e malattia
Questa dimensione di asocialità percepita, pare sia diffusa più di quanto si possa credere visto che è possibile sentirsi soli anche in mezzo a una folla brulicante.
La solitudine può essere dunque associata, come da titolo, a due delle più urgenti questioni di salute pubblica:
- L’aumento delle malattie mentali;
- L’aumento dei disturbi della salute metabolica.
«La solitudine, l’isolamento, contribuiscono (il condizionale e la prudenza sono abbandonati dalle evidenza emerse) all’insorgenza di stress cronico che porta alla disregolazione neuroendocrina e alle conseguenze immunometaboliche a valle che si manifestano inevitabilmente nella malattia».
E poi:
«La solitudine può portare a un’eccessiva attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e alla fine causare disfunzione mitocondriale, che è implicata nella malattia mentale e metabolica.
Queste condizioni possono, a loro volta, portare a un ulteriore isolamento sociale e innescare un circolo vizioso di malattie croniche».
E ancora:
«Studi epidemiologici hanno associato la solitudine ad alcune delle più urgenti sfide di salute pubblica del nostro tempo, vale a dire le epidemie di malattie croniche come la malattia mentale e la sindrome metabolica (MetS), che include ipertensione, dislipidemia, obesità e insulino-resistenza. La solitudine è associata a un aumentato rischio di sviluppare una miriade di disturbi neuropsichiatrici, tra cui il disturbo depressivo maggiore, i disturbi d’ansia e il disturbo da stress post-traumatico».
A valanga
«Eseguendo analisi incrociate su dati longitudinali di popolazioni statunitensi di mezza età e anziane, è stato dimostrato che la solitudine è predittiva di successivi aumenti dei sintomi depressivi, ma non viceversa, suggerendo che la solitudine può svolgere un ruolo causale nello sviluppo della depressione piuttosto che essere un effetto collaterale».
Un disastro.
Solitudine e dimensione esistenziale
Abbiamo chiesto un parere al Dottor Giovanni Varrasi, psichiatra e psicoterapeuta.
Dottor Varrasi, alla luce dei dati allarmanti prodotti dal paper, lei si occupa da decenni di solitudine e isolamento da un punto di vista esistenziale e psicologico, quali le sue sensazioni?
«L’esperienza più salutare e salvifica che può capitare ad ognuno di noi è quella di essere accolti intimamente da una persona, che ci riconosce, ci ama, si prende cura di noi.
Questa esperienza è così decisiva che ci cambia nel profondo e istituisce quella che è chiamata “fiducia primaria” negli altri e verso la vita.
Nella nostra prima infanzia parliamo della madre, successivamente -con un impatto meno significativo- di altre persone importanti per noi.
Il fallimento di questo primo incontro segnerà in gran parte il nostro destino, nel senso che favorirà o inibirà la semplicità di un buon incontro».
«Nei casi peggiori l’altro diventa un nemico. In situazioni meno negative può risultare un intralcio, un problema, da evitare comunque il più possibile, anche con l’uso di un deciso distacco o di un uso eccessivo delle buone maniere.
E qui vorrei descrivere un problema di solitudine che è contraddetto dall’evidenza. Parlo di persone circondate da altre, sovente loquaci e interattive che, tuttavia, nel loro mondo intimo, si sentono profondamente sole…
È che questi individui non riescono a provare emozioni, sentimenti, pensieri autentici verso l’altro (compresa la critica, il dissidio, la controversia) ma usano tecniche manipolatorie, seduttive, utili a strumentalizzare l’altro per averne vantaggi e favori.
La relazione con l’altro diviene una rappresentazione, una recita, a mano a mano sempre più apparentemente adeguata».
Brutta bestia
«La solitudine è una brutta bestia, la finzione di buone relazioni, altrettanto.
Rimane la difficoltà di riconoscere che tutto quello che sappiamo, una parte di quello che siamo, dipende da altri.
Conviene essere curiosi verso tutto quello che è fuori di noi, (perlomeno per attenuare o contraddire il grande potere dell’egoismo, dell’egocentrismo), darsi il tempo per valutare, saper scegliere.
Se poi ti capita la ventura di un buon incontro, che avvenga di persona, ma anche attraverso la cultura, con autori, Intellettuali, uomini di fede (di tutti i tempi), va tenuta stretta. Chi trova un amico trova un tesoro!».