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La tutela dell’ambiente nella carta costituzionale 

  •  Dall’8 febbraio 2022 diventa un principio fondamentale della Costituzione 
  •  Sarà sufficiente a dare una svolta alla crisi ambientale? 
  • Il richiamo al modello biblico per una transizione ecologica 

Lo scorso 8 di febbraio il Parlamento italiano ha approvato la proposta di legge costituzionale che segna un passaggio epocale perché inserisce la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi fra i principi fondamentali della Costituzione della Repubblica italiana.  

La sensibilità ecologica è enormemente cresciuta questi ultimi anni. Iniziative pubbliche e private germogliano trasversalmente una dopo l’altra nella società civile. 

È la prima volta, però, che la tutela dell’ambiente trova piede nella carta costituzionale.  

Questo inserimento, purtroppo, non risolverà da solo il problema dell’ambiente ma comunque darà una prospettiva vincolante agli italiani su questo tema prioritario. 

La Camera ha approvato definitivamente la proposta di legge che modifica due articoli costituzionali, il 9 e il 41, al fine di tutelare l’ambiente, le biodiversità, gli animali e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni.

È la prima volta che viene modificata la prima parte della Costituzione (composta dai primi 12 articoli), quella riguardante i principi fondamentali della Nazione. La riforma, già approvata dal Senato in seconda lettura a novembre 2021, entra subito in vigore e non è sottoponibile a referendum, poiché votata da oltre due terzi del Parlamento. 

Ecco come sono cambiati i due articoli della Costituzione (in grassetto le nuove parti).  

Articolo 9: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”. 
Articolo 41: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, alla salute, all’ambiente. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali”. 

Come Bruno Latour ricorda, la “terra”, oggi, non è più solo un problema degli ambientalisti ma una questione centrale della politica e della cultura che noi dobbiamo assumere, singolarmente e collettivamente, come categoria centrale del nostro tempo.1 Quindi, questa modifica costituzionale segue la scia aperta e suggerita da Latour.  

Il passaggio verso una cultura diversa che rompa con il fascino perverso d’un antropocentrismo miope e manipolatore, non è però semplice. E non solo per colpa dell’incuria e dell’indifferenza delle persone. Non è un passaggio semplice anche perché i vari tentativi generosi e le strategie volenterose offerte diventano facilmente parte del problema, perché si limitano troppo spesso a essere semplici aggiornamenti delle stesse cause che hanno provocato questa crisi.  

È difficile trovare dei registri alternativi. 

Uno di quelli da sfruttare è il pensiero femminista per due motivi. 

Primo, perché le vittime dello sfruttamento della ragione strumentale che governa la logica prioritaria ed efficientistica dei sistemi di potere d’oggi, politici, tecnici o economici, sono l’ambiente, la natura, la terra e le donne.

E il meccanismo di sfruttamento che si applica alla natura e alle donne è la tipica strategia del non-riconoscimento, della minimizzazione e della cosificazione (rendere cosa). Non c’è sfruttamento se prima non scatta un processo di delegittimazione e di denigrazione. Prima di essere sfruttato, un ente deve essere neutralizzato concettualmente.

È accaduto con la natura dichiarata selvaggia e distruttrice e accade con le donne, definite imprevedibili e in balia delle loro emozioni altalenanti. Di fronte all’ordine e alla programmazione, tipiche ossessioni d’una società della produttività e dell’efficienza, natura e donne devono essere ben controllate. 

Secondo, è proprio in virtù di questo loro comune sfruttamento e sottomissione, che il pensiero femminista e quello ecologico introducono un nuovo modo di vedere il mondo e di pensare la vita. Il pensiero femminista, per esempio, ha introdotto con pertinenza la categoria di “cura” come categoria alternativa e correttiva della crisi, non solo ambientale, ma culturale nel suo insieme.

E la differenza risiede nel fatto che mentre le proposte correttive comuni puntano a raffinare le strategie d’intervento, il concetto di cura privilegia al di là e anche contro le strategie, le persone e le situazioni in sé nella loro concretezza e nella loro specificità. Il pensiero femminista si dissocia quindi a un correttivo puramente procedurale per concentrarsi sulla sostanza, che in questo caso è dato dalle persone o dalle situazioni considerate nella loro inassimilabile unicità. Le strategie procedurali intervengono invece per misure standard.

La natura, infatti, deve essere “curata”, non organizzata e meno che mai sfruttata per dei fini che le sono alieni e impropri. 

Cosa può servire ai fini di una vera transizione ecologica 

Questa benefica e opportuna modifica costituzionale è dunque benvenuta, ma non è sufficiente, perché non attribuisce ancora alla natura un profilo forte di soggetto giuridico. Permane anche in questa nuova formulazione un paternalismo giuridico e culturale tipico dell’antropocentrismo occidentale. La tutela dell’ambiente rimane cioè un fatto che dipende dalla discrezionalità dell’uomo.

Ciò che invece la Costituzione dell’Ecuador nel 2008 e quella della Bolivia nel 2010 hanno rovesciato, riconoscendo i “diritti della natura” come valori in sé indipendenti della discrezionalità umana. E lo hanno fatto fondandosi sulla tradizionale e antica cosmovisione della “pachamama” (madre terra) e della “Suma qamaña” (il vivere bene).

Fino a quando non verrà riconosciuto alla terra e all’ambiente un diritto intrinseco, come appunto fa il pensiero femminista, insieme alla “Deep ecology” (Arne Naess), il pensiero ecologico rimarrà fragile e incompleto. 

A questo pieno riconoscimento della natura in quanto soggetto di diritti appartiene per esempio il Salmo 98, che nella terza strofa sulla natura si esprime così: 

7 Risuoni il mare e quanto contiene,il mondo e i suoi abitanti. 

8 I fiumi battano le mani, 

esultino insieme i monti 

davanti al SIGNORE. Poiché egli viene a governare la terra; 

9 egli governerà il mondo con giustizia, 

e i popoli con rettitudine. 

Un primo elemento per una vera transizione ecologica è il riconoscimento della natura come tale. Riconoscimento significa prendere nota della presenza dell’altro. In questo caso l’altro è la natura, il mare, i fiumi, le montagne, le specie. In un contesto di divinizzazione della natura, che è quello in cui nasce la Bibbia, il formato che la confessione nella creazione adotta è un formato trascendentalista in cui il Creatore si differenzia radicalmente della natura.

Oggi, questo formato trascendentalista porta però al disconoscimento, alla minimizzazione, all’indifferenza di fronte alla natura. Questo formato trascendentalista non può scomparire, perché veicola l’essenza della dottrina cristiana sul creato, ma non può neanche sopravvivere da solo. Come bene lo ricorda J. Moltmann nel suo libro “Dio nella creazione”, Dio non è solo trascendente ma può abitare anche la sua creazione.  

Un secondo elemento in questo Salmo è il riconoscimento di un valore intrinseco della natura.

Essa non dipende solo dall’uomo o da Dio. Dio l’ha creata con una sua autonomia relativa che si manifesta nella possibilità di avere un moto proprio dato in questo Salmo dalla possibilità di lodare. La natura ha una voce propria. Finché questo non accadrà, qualunque transizione ecologica è destinata a fallire.

L’apprezzamento e considerazione della terra e della natura non può dipendere dalla volontà e dall’arbitrio umano. Si tratterebbe di paternalismo ecologico. La natura non solo ha un valore intrinseco ma ha una “personalità” che questo Salmo riconosce. Anche il concetto di personalità è oggi eccessivamente schiacciato e dipendente dalla sua forma antropocentrica e umana. 

Terzo. Questo Salmo riconosce implicitamente che la natura non solo esiste e ha un valore intrinseco, ma propone un “modello” ecologico di governo della vita che non è quello utilitaristico, pragmatico e manipolatorio che caratterizza l’antropocene.

Ma un governo ecologico lento, complesso e pluricentrico che Dio stesso prende come prototipo per governare il mondo e gli uomini. La natura non è solo destinazione del nostro agire compulsivo. Essa è anche fonte e motivazione che precede, nutre e orienta l’azione umana e la fa diventare lode.

Amico della terra non è dunque chi la sfrutta o paternalisticamente vuole tutelarla. Ma soltanto colui che ha imparato a conoscerla, a interagire con essa e a contemplarla con meraviglia, gratitudine e uno spirito di lode. 

Per approfondire leggi anche Ambiente è ora, più che mai, una cosa pubblica

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