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Parkinson. Un’analisi del sonno ne prevede l’insorgenza

Il primo marzo 2023 è partito uno studio, coordinato dalla Università di Pisa, per poter determinare in modo precoce l’insorgenza del Parkinson,

L’obiettivo dell’equipe è quello di mettere a punto un protocollo in grado di evincere l’insorgenza della malattia, basandosi sullo studio personalizzato del sonno del paziente. 

Per la prima volta si tenterà lo studio partendo da organoidi cerebrali: modelli cellulari in 3D del cervello umano. 

Il programma sarà finanziato dalla Horizon Europe, con circa 3 milioni di euro. 

VitaeSalute WEB ha posto alcune domande alla Dottoressa Sara Meoni MCU-PH, Unité Troubles du Mouvement, Service de Neurologie Pôle Psychiatrie, Neurologie, Rééducation neurologique, Médecine Légale (PRéNeLE), CHU Grenoble Alpes. 

Dottoressa, perché è fondamentale diagnosticare il Parkinson prima dell’insorgenza dei sintomi tipici? 

«La malattia di Parkinson è una patologia neurodegenerativa, a evoluzione progressiva, la cui causa resta ancora sconosciuta.  

La diagnosi precoce della malattia di Parkinson è fondamentale per poter controllare e gestire l’evoluzione della malattia ed evitarne le complicazioni della fase avanzata, per migliorare la qualità di vita del paziente.  

La ricerca su questa malattia è volta a identificare dei potenziali “biomarkers” (alterazioni specifiche a livello della struttura cerebrale, delle funzioni cerebrali e di campioni biologici) che possano permettere di fare una diagnosi precoce.  

In parallelo, è importante sviluppare protocolli di ricerca per individuare trattamenti in grado di “rallentare” il processo neurodegenerativo alla base di questa malattia». 

Perché proprio il sonno? 

«Ormai è noto da tempo come i disturbi del sonno e in particolare il disturbo del comportamento del sonno REM (Rem sleep behavior disorder, RBD) siano associati alla malattia di Parkinson e addirittura possano precedere anche di molti anni l’insorgenza dei tipici segni motori (rallentamento, rigidità muscolare e tremore).

Per questo, studiare i disturbi del sonno con l’aiuto di nuove tecnologie come gli organoidi cerebrali è una pista promettente per predire l’insorgenza della malattia di Parkinson».   

Una ricerca come quella annunciata immaginiamo possa permettere una diagnosi e un protocollo personalizzati. Esistono altri casi di studio basati su questi modelli artificiali? Quali sono i vantaggi? 

«Il principio della ricerca da lei menzionata è utilizzare, per la prima volta nella malattia di Parkinson, organoidi cerebrali personalizzati (modelli cellulari tridimensionali avanzati del cervello umano) per studiare i ritmi sonno veglia con l’obiettivo di identificare eventuali disturbi in grado di predire l’insorgenza della malattia.  

La possibilità di costruire dei modelli di organoidi cerebrali personalizzati, partendo da un semplice scrub della pelle, permette di realizzare quella che chiamiamo “medicina di precisione”, di fare cioè una diagnosi e un trattamento specificamente adattati per il singolo paziente, in grado quindi di essere più precisi, accurati ed efficaci delle metodiche diagnostiche e terapeutiche tradizionali. 

Negli ultimi anni, abbiamo assistito a uno sviluppo di questi modelli di organoidi cerebrali per studiare i meccanismi patogenetici e la risposta a trattamenti in varie patologie neurologiche e neuropsichiatriche, come l’emicrania e i disturbi dello spettro autistico».  

Oltre al Parkinson, questo modello di studio potrebbe essere applicato anche per diagnosticare altre malattie di tipo neurodegenerativo, patologie in aumento vista l’invecchiamento della popolazione? 

«Certamente sì, questo modello può essere applicato per lo studio e la ricerca terapeutica nell’ambito di altre patologie neurodegenerative, come per esempio la malattia di Alzheimer, la cui prevalenza aumenterà nei prossimi decenni a causa del invecchiamento della popolazione generale». 

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