L’appello in rete, firmato dalla Dottoressa Carmen Criscitiello, principal investigator a livello globale dello studio clinico #ALPHABET, è risuonato chiarissimamente:
«Se avete pazienti con tumore mammario HER2+ metastatici, segnalateceli pure. Finalmente lo studio alphabet è attivo anche in Italia!».
VitaeSalute WEB ha deciso di approfondire.
Oncologa per vocazione
Dottoressa Criscitiello, tra tante occupazioni lei ha deciso di dedicare la sua vita all’arte del curare; perché? Solo un caso professionale o vocazione inspiegabile?
«Ho deciso che avrei voluto fare il medico – il pediatra nello specifico – quando avevo cinque anni, un po’ per caso, come le cose che decidono i bambini a quell’età. Ma quell’idea è rimasta sempre.
Solo che a 14 anni, sempre un po’ ingenuamente, pensai che non sarebbe stato abbastanza stimolante perché all’epoca credevo (sbagliando) che i bambini godessero tutti di buona salute. Mi domandai, quindi, cosa sarebbe stato più “sfidante” e pensai subito all’oncologia, di cui mi ha sempre attratto la duplice possibilità di curare i pazienti e fare ricerca. Quindi, ecco, mi sono iscritta a Medicina col preciso obiettivo di diventare un’oncologa».
Tumore al seno, quanti?
Quante sono in Italia le nuove diagnosi di tumore al seno? Quali i numeri della popolazione totale attualmente colpita da questa malattia?
«In Italia, il tumore della mammella rappresenta quello più frequente con 55.700 nuovi casi stimati nel 2022 e un incremento dello 0,5% rispetto al 2020. Il tumore della mammella rappresenta anche la patologia neoplastica a più alta prevalenza tra le donne: complessivamente, in Italia, sono 834.200 le donne viventi dopo una diagnosi di tumore della mammella (di cui 37.000 con tumore metastatico)».
Cos’è il tumore mammario metastatico HER2+?
«1 caso su 5 dei tumori mammari diagnosticati (20% dei casi) è HER2+.
Il tumore mammario HER2+ è caratterizzato da una sovraespressione di questa proteina. La sovraespressione di HER2 agisce come un generatore che stimola la crescita del tumore. Quindi l’inibizione o il blocco di HER2 è cruciale nel trattare il tumore mammario HER2+. Ad oggi, disponiamo di numerosi trattamenti anti-HER2.
Ma, purtroppo, quasi sempre arriva un momento in cui queste terapie non funzionano più, perché il tumore sviluppa dei meccanismi di resistenza. Meno frequentemente, tali meccanismi sono presenti dall’esordio, per cui le terapie che proponiamo non funzionano».
Alcuni cenni storici di cure e tentativi?
«Nel 1980, quando sono nata, erano disponibili due tipi di terapie sistemiche per pazienti con tumore mammario: la chemioterapia e la terapia endocrina, quest’ultima riservata a pazienti i cui tumori fossero positivi per il recettore degli estrogeni.
Solo più avanti si scopre che circa il 20 per cento delle nuove diagnosi di tumore mammario presenta una quantità maggiore del normale del gene che codifica per il recettore HER2 e che questi tumori sono particolarmente aggressivi rispetto a quelli senza questa alterazione.
Viene pertanto creato un anticorpo monoclonale umanizzato contro il recettore HER2, rivelatosi molto efficaci nel bloccare la proliferazione e la sopravvivenza delle cellule tumorali che presentavano questo bersaglio molecolare: il trastuzumab.
I dati sull’efficacia di questo trattamento portano la Food and Drug Administration (FDA) ad approvarne l’uso nel 1998. E trastuzumab ha rivoluzionato il modo in cui trattiamo questa patologia, ma soprattutto la sua storia naturale, facendo sì che da malattia molto aggressiva, la patologia HER2+ sia diventata una di quelle che riusciamo a curare meglio.
Più di due milioni di donne nel mondo sono state trattate con trastuzumab, beneficiandone largamente, tanto che è oggi il trattamento standard per le pazienti con tumore mammario HER2+.
Questo farmaco è efficace anche in pazienti con malattia metastatica che, grazie al trattamento, riescono a raggiungere una migliore qualità di vita e a vivere significativamente più a lungo.
Nel corso degli anni la famiglia di farmaci diretti contro HER2 si è arricchita, includendo molecole come l’anticorpo monoclonale pertuzumab, gli inibitori tirosin chinasici di HER2 (lapatinib, neratinib e tucatinib) e trastuzumab emtansine, il primo anticorpo farmaco-coniugato. Ed è proprio questa classe di farmaci che ultimamente ha visto l’arrivo di un nuovo agente estremamente efficace: il trastuzumab deruxtecan».
ALPHABET
Ora, lo studio clinico ALPHABET quali prospettive si pone? Perché questo nome particolare? Dal sito ufficiale leggo a fatica nomi e sigle quasi incomprensibili: alpelisib, inibitore di PI3K, trastuzumab…? Di cosa si tratta?
«Circa il 30% dei pazienti con tumori HER2+ ha anche una mutazione (cambio) in un gene che si chiama PIK3CA. Il gene PIK3CA codifica la proteina PI3K, la quale facilita l’attività di HER2. Le mutazioni nel gene PIK3CA possono indurre l’attivazione di PI3K, con conseguente stimolazione di una crescita incontrollata del tumore. Pertanto, le mutazioni di questo gene sono state, in alcuni casi, associate a una ridotta efficacia delle terapie anti-HER2 e in altri è stato osservato che inducono resistenza alle terapie anti-HER2.
Lo studio ALPHABET è una sperimentazione clinica in corso in 6 paesi europei. Questo studio mira a soddisfare un’esigenza medica nei pazienti con carcinoma mammario HER2+ e una mutazione nel gene PIK3CA, che possono appunto sviluppare resistenza alle terapie anti-HER2. Alpelisib, un farmaco che inibisce selettivamente PI3K, può aiutare a superare questa resistenza alle terapie anti-HER2.
Lo studio ALPHABET si pone l’obiettivo di valutare se la combinazione di alpelisib e trastuzumab (cui viene aggiunto anche fulvestrant, in caso di una concomitante espressione dei recettori degli estrogeni) possa avere un effetto benefico in pazienti con carcinoma mammario HER2+ e una mutazione nel gene PIK3CA.
Questa strategia di trattamento combinato rappresenta una terapia di precisione mirata a molteplici bersagli terapeutici. La strategia terapeutica proposta in questo studio, oltre a cercare di dimostrare un beneficio nel controllo della malattia, evita gli effetti collaterali associati alla chemioterapia, migliorando così la qualità della vita dei pazienti».
Traguardi e speranze al futuro prossimo?
«Puntiamo a migliorare ulteriormente la capacità di curare questa malattia quando arriva a livello encefalico e speriamo che i farmaci disponibili attivi a livello encefalico aiutino anche a prevenire la formazione di metastasi encefaliche in donne operate per tumore mammario.
Contiamo di migliorare ulteriormente i già elevati tassi di guarigione anche nelle pazienti ad alto rischio, e al contempo ottimizzare la selezione dei trattamenti personalizzandoli, somministrando meno tossicità e meno farmaci a pazienti che possono essere curate anche con trattamenti meno intensi, basati soprattutto su farmaci biologici come gli anticorpi monoclonali.
Infine, nella malattia metastatica riteniamo che grazie all’espansione continua e progressiva dei nuovi farmaci, la sopravvivenza delle donne che già supera i cinque anni (come mediana) nonostante la presenza di metastasi, possa persino allungarsi e in una quota di pazienti che oggi è piccola, ma potrebbe diventare in futuro più grande, speriamo di essere addirittura in grado di guarire alcune di queste pazienti dalla loro malattia, nonostante la presenza di metastasi».
Per ricevere maggiori informazioni e per scoprire come candidarsi scrivere a divisione.svilupponuovifarmaci@ieo.it
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