Antonietta Melillo, credo l’avesse pronunciata John Fitzgerald Kennedy, questa frase, in un suo discorso: “Scritta in cinese la parola crisi è composta di due caratteri. Uno rappresenta il pericolo e l’altro rappresenta l’opportunità”.
Nel suo caso la crisi ‘cinese’ (le aziende e i manufatti di abbigliamento cinese hanno decretato la fine della sua impresa) ha significato davvero: nuova opportunità?
«Chiariamo che non sono una grande imprenditrice, anzi non mi definirei nemmeno imprenditrice. Sono una persona che ha avuto un imprevisto e ho cercato un’alternativa. Lei mi ha citato delle frasi e d’istinto ne ho pensata anche io una “la fortuna aiuta gli audaci”».
Ci racconti parte della sua storia, le sensazioni e le fibrillazioni di quei momenti?
«Non è stata una bella esperienza chiudere definitivamente, la porta del mio negozio. La mia vita lavorativa non c’era più. Adesso le spiego il perché mi reputo fortunata.
Da subito ho avuto intorno a me amici e familiari che mi hanno dato tanto aiuto, non solo morale, ma pratico. Nel 2011 inizia la mia ricerca dei semi e li ricevo da un’anziana signora del paese che incontra mio marito e le spiega le mie intenzioni sulla cipolla. Dopo circa un anno la signora ci ha lasciato.
Nel frattempo dopo qualche mese dalla chiusura, ho avuto la possibilità di fare un lavoro a progetto a Piedimonte Matese in un ufficio della Coldiretti.
Anche quello mi è servito perché ho capito come potevo aprire un azienda agricola, dal punto di vista burocratico. In più facevo tante domande agli associati che venivano, li rendevo partecipi dei miei progetti. Chiedevo loro consigli, che mi venivano dati con molto entusiasmo, ma anche con un po’ di scetticismo. Sono diventata anche amica loro.
Nel 2012, una sera, per caso, insieme ad una mia amica allora fiduciaria di slow food Matese, passando per Caiazzo ed era ora di cena, ci fermammo alla nuova pizzeria Pepe in Grani. È lì che conobbi Franco Pepe, una persona molto simpatica e alla mano.
Subito ci fu sintonia quando gli dissi che coltivavo le cipolle di Alife. Nei suoi occhi vidi la gioia di chi ha trovato ciò che stava cercando. Da allora si è costituito un bel gruppo di amici, ognuno di noi produce un’eccellenza del territorio, quelle che poi Franco mette sulle sue pizze che fanno il giro del mondo.
Iniziai a trasformare in vasetti le cipolle più piccole perché rifornendo le pizzerie avevo la richiesta di quelle grandi, ed anche in questo ho avuto l’aiuto del mio amico Giovanni Navarra. Lui aveva un laboratorio di trasformazione ittica, ma comunque mi rivolsi a lui per capire come potevo produrre vasetti di cipolle per la vendita.
Da subito iniziò a produrmi i vasetti di cipolle in agrodolce, ricetta della mia amica Paola Rubano. Franco pensò di usare le cipolle in un modo diverso sulla pizza e di lì è nata un’altra ricetta La Crema di cipolle.
Nel 2013 avevo i miei semi. Il mio raccolto con tanto di ciclo vitale fotografato, dal seme alla tipica ‘nzerta (treccia che si compone con le cipolle e giunchi di lago o fiume). Ero stata seguita dal prof. Antonio di Matteo dottore di genetica agraria, che amichevolmente mi aveva dato il suo sostegno tecnico.
La mia amica Rosamaria Esposito aveva incorniciato in casa sua un Diploma di Merito conferito alla cipolla per la sua bontà, alla Fiera Campionaria di Milano nel 1930, dove suo nonno l’aveva iscritta e inviato il campione. Grazie a tutto il materiale che avevo riuscii a far registrare la cipolla di Alife nel registro regionale dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali.
Da subito ho coltivato il mio terreno in modo sostenibile, rispettando le rotazioni colturali, non usando prodotti chimici contro gli agenti avversi che si incontrano durante ogni ciclo.
Non diserbo chimicamente, insomma rispetto il mio terreno, le mie cipolle e adoro stare nella terra dove purtroppo non posso esserci sempre, perché dietro un’azienda ci sono tante altre cose da fare. Ma stare nel campo è la parte che mi piace di più».
La filosofia slowfood si oppone in un certo qual modo a quella del fastfood. Le sue cipolle hanno scelto di abbracciare la lentezza, la degustazione meditata. Com’è successo il suo successo?
«Coltivare in modo pulito mi ha dato la possibilità di poter diventare un Presidio Slow Food, dal 2015. Ed anche in questo ho avuto il sostegno di belle persone come Gaetano Pascale, allora Presidente regionale di slow food Campania, che partecipò al bando del Gal Alto Casertano rappresentato da altre due persone squisite, il Presidente il dott. Ercole De Cesare e il coordinatore Pietro Andrea Cappella con il quale ho instaurato un bellissimo rapporto di amicizia. Grazie al finanziamento di quel bando per la tutela della biodiversità siamo diventati Presidio.
La mia famiglia mi ha sostenuto sempre, anche se non del tutto d’accordo con questa mia scelta. Non mi ha mai voltato le spalle quando ho avuto bisogno e tutt’oggi so di avere una bella squadra operativa. La raccolta è il momento che ci raggruppa da sempre ed i miei figli oggi hanno 17 anni Francesco e 13 anni Alice. Dal 2012 tutti gli anni raccolgono cipolle insieme a me e al papà. Mio marito, Fabio è la mia spalla forte, è colui che mi aiuta a trovare la forza ogni volta che cado e magari inizialmente penso di non farcela».
Alife, mi permetta di giocare ancora con le parole, in inglese può significare: una vita… il suo è un progetto di una vita, è un progetto di vita.
«In azienda ospito ragazzi delle scuole e adesso ho iniziato un bel progetto in una casa-famiglia per adulti con disabilità psichiatrica. Ed anche qui con i ragazzi (ci chiamiamo così) ci divertiamo tantissimo, abbiamo pulito i semi di cipolle, selezionato fagioli e tra qualche mese faremo un piccolo campo che dovranno coltivare loro».
Antonietta, la sua storia ‘a valanga’ ha coinvolto un sacco di persone, è proprio vero che non siamo isole.
«In queste poche righe ho voluto ricordare tanti nomi, volti, persone che hanno reso questa mia avventura bella da raccontare. Sono grata a ognuno di loro e li nomino e li ringrazio piangendo di gioia ogni volta che mi chiedono e penso alle mie cipolle.