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Cure palliative. Come funzionano?

  • Che cosa sono le cure palliative e quali sono le sfide di un medico palliativista? 
  • Esistono delle opzioni?  
  • Che cos’è un hospice?  
  • Le cure palliative sono necessarie solo per i malati non guaribili? 

Come si gestisce un paziente considerato inguaribile? 

«Intanto una premessa fondamentale: inguaribilità e incurabilità sono due concetti diversi.  

Le cure palliative sono una disciplina che si occupa delle persone e delle loro famiglie, non solo dei pazienti. Guarire non è sempre possibile, curare sì. 

Come funzionano, quando nascono, e cosa si intende con cure palliative?   

«Le cure palliative sono una disciplina della medicina e si fondano sulla capacità che è intrinseca nell’uomo, nelle persone, negli esseri umani, di farsi carico della sofferenza più estrema. È suggestivo per me che le moderne cure palliative nascano nel 1967, con la fondazione del Saint Christopher Hospital a Londra.  

È suggestivo perché il 1967 è anche l’anno in cui viene fatto il primo trapianto di cuore. È come se, nel momento in cui la medicina ha una crescita esponenziale delle sue capacità, si sentisse il bisogno di occuparsi di quelle persone che di fatto sfuggono alla medicina. Cresce l’onnipotenza della medicina, cresce anche il bisogno di prendersi cura della sofferenza della vita che volge al termine. 

Cicely Saunders, la mamma del movimento delle cure palliative moderne, dà una definizione molto importante: ‘Il dolore alla fine della vita è un dolore globale’. 

Il dolore globale racchiude in sé sicuramente una dimensione fisica, ma anche sociale, una dimensione psicologica e una spirituale. 

La Saunders definisce la sofferenza, che ha una portata ben diversa rispetto al dolore fisico. Mentre il dolore fisico può essere trattato con i farmaci, la sofferenza si tratta con un insieme di energie che richiede un lavoro in équipe». 

Cos’è un hospice? 

«Le cure palliative in Italia sono un diritto per tutte le età della vita e in tutti i luoghi della cura, sancito dalla legge 38 del 2010.  

Quando si indicano tutti i luoghi della cura, ci si riferisce all’ospedale, all’Hospice e al domicilio… 

Gli Hospice sono strutture residenziali, di ricovero, destinate ad accogliere pazienti che, per ragioni cliniche o per ragioni sociali, non possono trascorrere a casa l’ultimo tempo della loro vita. 

Queste strutture sono sempre più utili, visto che andiamo verso un impoverimento della rete sociale. Abbiamo famiglie monocomponenti, quelle composte da coniugi anziani al loro ultimo tratto di vita.  

L’utilità della struttura residenziale è chiarissima. Sono luoghi in cui la vita viene accolta, c’è spazio per i familiari, per i nipotini, per gli animali domestici, per mille attività alternative che riempiono di significato l’esistenza fino alla fine». 

L’ Hospice tiene conto anche degli ospiti pediatrici? 

«Mentre le cure palliative dell’adulto si orientano prevalentemente alla fase finale delle patologie, per i minori il discorso è un po’ diverso. 

L’80% dei minori seguiti in cure palliative ha una patologia non oncologica. Malattie degenerative, metaboliche, genetiche, neurologiche gravi. Alcune sono malattie senza nome. Bambini che presentano una qualità della vita gravemente segnata.  

Abbiamo inaugurato una struttura specializzata, la prima in Lombardia, nel 2019.  

Accanto a un 20% di ricoveri di accompagnamento di fine vita, abbiamo realizzato il 70% di ricoveri con una finalità di tipo abilitativo, cioè quei ricoveri che servono a rendere abili i genitori a curare, a crescere, a occuparsi di bambini che non respirano in modo autonomo, che non si alimentano in modo autonomo, che non comunicano secondo le vie canoniche di comunicazione, che hanno dei disturbi neurologici molto severi, che esprimono il dolore in un modo che è difficile da comprendere.  

Abbiamo messo a disposizione 6 miniappartamenti all’interno dei quali i genitori, tutta la famiglia, può stare insieme a questo bambino o adolescente».   

I vostri ospiti capiscono cosa sia un Hospice? 

«Informazione e comunicazione non sono sinonimi. Sapere di avere una malattia non significa ancora aver capito che cosa comporti. Non basta che io conosca il nome della mia malattia, devo sapere cosa significhi all’interno della mia esistenza. Ci sono pazienti che hanno perfettamente capito, benché non sia stato detto loro il nome della malattia.  

Nelle cure palliative si dice che non è tanto importante dire la verità, quanto costruire un ambiente di verità, che ha un significato molto diverso. L’ambiente di verità è quello all’interno del quale possono essere poste le domande difficili, in cui sono legittimate le domande difficili.  

Tanti anni fa lavoravo in un’altra realtà e seguivo un paziente a domicilio. Seguivo questo pittore che aveva pochi soldi, era gennaio. Mi chiede: “Quanto mi resta?”.  

Ho preso un attimo il fiato.  “Voglio solo sapere se devo pagare il canone della Rai. Mi conviene o no?”.  

Ci sono persone che arrivano nell’Hospice disperate, altre che vi arrivano perché hanno capito». 

Questo articolo è tratto dal podcast di Aureliano Stingi di Alterthink per la serie “La Grande C” disponibile su Spotify: intervista alla dottoressa Giada Lonati, medico palliativista e direttrice sociosanitaria dell’Associazione Vidas. Qui il podcast completo: 

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