Leggendo uno studio recente sulle infezioni batteriche resistenti agli antibiotici, abbiamo deciso di porre qualche domanda bruciapelo al Dottor Biagio Tinghino, infettivologo:
- Le risulta che la maggiore causa di morte nel 2050 non sarà attribuibile al cancro, alle malattie cardiache, al diabete… ma alle infezioni batteriche resistenti agli antibiotici?
- Quante persone muoiono attualmente nel nostro Paese per la resistenza agli antibiotici?
- Quali sono le frontiere della sperimentazione scientifica in merito alla lotta contro la resistenza agli antibiotici?
- Che cos’è un batteriofago? Ci sono speranze di poter, se non vincere, combattere al meglio questa battaglia?
La situazione attuale e lo scenario futuro
«I dati ci indicano che le resistenze batteriche agli antibiotici sono in costante aumento e di pari passo aumentano i casi di pazienti che hanno infezioni difficilmente trattabili. Per fare un esempio, in Italia nel 2021 sono stati segnalati 2200 situazioni di batteri (nello specifico *Klebsiella pneumoniae) resistenti ad una classe di antibiotici molto diffusa (carbapenemi).
Probabilmente, stando all’Istituto Superiore di sanità, oltre 10.000 persone l’anno nel nostro paese decedono a causa di una malattia infettiva per la quale gli antibiotici hanno fatto cilecca.
Nel mondo, uno studio pubblicato su The Lancet del 19 gennaio 2022, identificava in 3 milioni e mezzo i decessi causati da inefficacia degli antibiotici nel 2019. Un numero inferiore solo a quello della malaria e dell’HIV (e alla pandemia da Sars Cov2, che da sola ha causato 6,7 milioni di morti, a gennaio 2023).
Insomma, il trend è allarmante, visto che le resistenze batteriche sono in crescita e nel 2050- se continua così – i farmaci rimasti a nostra disposizione saranno pochissimi. Il rischio sarà molto elevato, come sempre, per i più fragili, anziani, neonati, i pazienti ospedalizzati, per chi è oggetto di manovre invasive (es. chirurgiche) o in terapia intensiva».
La mappa del rischio
«Se guardiamo le mappe delle varie regioni del mondo, ci accorgiamo che questi problemi sono più elevati nelle aree poco industrializzate o in via di sviluppo, ossia in quei paesi con minori risorse economiche e organizzative, come l’Africa subsahariana, l’Asia o alcune regioni dell’America latina. Si tratta di luoghi dove le infezioni sono più frequenti, le strutture che garantiscono l’igiene e il controllo delle malattie infettive meno efficienti, l’uso di antibiotici ad ampio spettro e in modo poco mirato piuttosto largo».
Possiamo rinunciare agli antibiotici?
«Affrontare il tema delle resistenze batteriche agli antibiotici non è né semplice né facile da spiegare, perché occorre conoscere i meccanismi della replicazione e dell’adattamento dei batteri ma, allo stesso tempo, bisogna comprendere la complessità della guerra millenaria tra uomo e microbi.
Sarebbe facile ipotizzare che le colpe sono attribuibili alla tecnologia, all’industrializzazione e alla diffusione dei farmaci. Ma si tratta di un approccio viziato da una narrazione ideologica, che va contro la storia e i dati.
Prima degli antibiotici la mortalità per malattie infettive era altissima. Una polmonite pneumococcica aveva un tasso di letalità che sfiorava il 20% e una peritonite era quasi sempre mortale. D’altra parte, il mondo dei microbi è in continuo, spontaneo e naturale mutamento. Gli antibiotici, perciò, dovranno restare dei farmaci di riferimento, di vitale importanza, per il trattamento delle infezioni più pericolose.
Cosa succederebbe diversamente?
Avremmo uno scenario che si è già verificato nei confronti del coronavirus (traslando l’esempio al mondo dei virus), anche nelle nazioni con le pratiche igieniche più diffuse, la situazione di un mondo senza farmaci e senza un vaccino».
Cosa fare per prevenire l’antibiotico resistenza
«Come abbiamo detto, batteri e virus mutano naturalmente, nel corso del tempo, ma l’uomo può – con una politica di utilizzo indiscriminato ed errato – facilitare l’emergere di ceppi resistenti alle cure. La prima strategia di politica sanitaria è la prevenzione delle infezioni batteriche con strategie che possono essere basate sulle scelte individuali e su politiche di igiene pubblica.
Igiene e vaccinazioni
Le scelte individuali prevedono una elevata attenzione nella gestione dei cibi, la pulizia delle mani e dell’ambiente domestico, anche se per quel che riguarda l’igiene personale esiste anche il rischio – se praticata in modo eccessivo o aggressivo- di ridurre l’efficacia delle difese di barriera, come può succedere con la pelle e le mucose.
Bisogna inoltre sottolineare il ruolo dei vaccini, come per esempio quelli per l’influenza, lo Streptococcus pneumoniae, il rotavirus ecc.
Sebbene alcuni di essi siano rivolti a dei virus (che non si curano con gli antibiotici), sappiamo ormai che molte infezioni virali nei soggetti più deboli rendono l’organismo vulnerabile anche ai batteri. Una infezione virale respiratoria più grave, per esempio, ha più probabilità di essere seguita da una polmonite batterica.
Le scelte di sistema invece riguardano la sanificazione delle acque, la presenza di leggi e regolamenti per la conservazione dei cibi e l’uso di antimicrobici comuni. In realtà, queste azioni sono già in essere nei paesi più sviluppati, cosa che li pone tra le nazioni in cui le resistenze batteriche sono più basse.
Protocolli ospedalieri severi
Un altro punto fondamentale è costituito dall’uso di severi protocolli ospedalieri per le manovre invasive (es. posizionamento di cateteri, sonde, interventi chirurgici).
Quando le procedure sono seguite in modo scrupoloso il rischio di infezione si riduce. Gli ospedali, inoltre, devono monitorare molto attentamente tutte le infezioni, perché la maggior parte di batteri resistenti si sviluppano proprio in questi contesti. Il motivo è logico: lì arrivano i pazienti più gravi, si devono usare farmaci più “forti”, c’è un turnover elevato di persone malate e debilitate.
Evitare il fai da te
Esiste, poi, un uso eccessivo e inappropriato di antibiotici nella pratica veterinaria e umana. Molti farmaci vengono usati per le infezioni originate negli animali da allevamento (ad esempio mucche o polli, ma anche pesci).
Sebbene la legge indichi l’osservanza di alcune precauzioni (es. impedisce l’uso del latte di mucche che assumono farmaci), allevatori senza scrupoli possono talora trasgredire questi regolamenti o avere accesso ad antibiotici senza controllo veterinario.
Nel campo umano l’uso di antibiotici per banali disturbi virali ( l’influenza o le virosi stagionali) è sbagliato. La maggior parte delle malattie febbrili stagionali guarisce senza l’uso di antibiotici (si tratta di virus!).
Purtroppo, molte mamme ansiose chiedono a gran voce l’uso di un antibiotico appena la febbre diventa alta, le tonsille si gonfiano o spuntano delle “placche” e molti pediatri diventano accondiscendenti nella prescrizione. Nei casi dubbi l’esecuzione di un test rapido permetterebbe di discriminare una necessità reale o di rassicurare la famiglia.
Nei paesi in via di sviluppo, poi, l’accesso ai laboratori è difficoltoso. Per questo motivo si fa ampio uso di antibiotici a largo spettro, ma si ricorre pochissimo a esami mirati che permetterebbero di rendere efficace l’uso dei farmaci, come per esempio le culture batteriche e gli antibiogrammi.
Infine, è diffuso (soprattutto in Italia) il malvezzo di fare ricorso ad antibiotici di ultima generazione o prodotti di associazione (un esempio è l’amoxicilllina e l’acido clavulanico) quando in realtà antibiotici monocomponente su taluni batteri sono ancora ben funzionanti».
Il ruolo delle linee guida e della comunità scientifica
«Le istituzioni e la comunità scientifica si stanno muovendo in modo ben preciso. Il problema è che, in un contesto culturale in cui – come nel nostro paese – la cosiddetta “esperienza personale” tende ad anteporsi ai dati della ricerca e delle linee guida, alcuni medici non seguono le indicazioni che vengono fornite. Circa il 70% delle infezioni respiratorie acute è dovuto a virus, mentre i batteri sono responsabili per non più del 5-10% dei casi.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità e il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (European Center for Disease Prevention and Control, ECDC) hanno emanato indicazioni molto stringenti in proposito. In Italia esiste il Piano Nazionale PNCAR che monitora, sorveglia e contrasta il fenomeno dell’antibiotico-resistenza. I medici in alcuni contesti devono seguire precisi programmi di formazione sulla gestione degli antibiotici.
A fronte di ciò si segnala anche un rallentamento della ricerca per scoprire nuovi antibiotici. L’investimento privato nella lotta alle malattie infettive non sempre permette di ripagare gli sforzi compiuti. Servirebbe un piano di risorse pubbliche per sostenere questo ambito di ricerca, che è costretto a un continuo aggiornamento.
Non esiste, nel complesso mondo del rapporto tra microbi, ambiente ed essere umano una situazione statica, raggiunta la quale ci si può fermare. Per alcuni decenni abbiamo vinto molte sfide, ma non possiamo fermarci.
Anche se molto dipende da dinamiche più grandi di noi, in quanto cittadini possiamo contribuire a diffondere una corretta informazione e fare la nostra parte. Ce ne saranno grate le generazioni future».
Sette consigli per contrastare l‘antibiotico-resistenza
- Pratichiamo un alto livello di pulizia delle mani, del corpo, degli oggetti, degli alimenti, rispettando un buon equilibro tra esigenze di eliminazione dei microrganismi patogeni e rispetto delle difese di barriera (per es. della pelle e delle mucose).
- Seguiamo un’alimentazione varia, sana, regolare, che faciliti la presenza di un buon macrobiota.
- Pretendiamo la migliore qualità degli alimenti, il controllo delle filiere produttive, degli animali da allevamento e dei loro derivati.
- Proteggiamoci dalle malattie infettive, quando possibile, con dispositivi di barriera, soprattutto se siamo fragili o anziani. Ad esempio, usando la mascherina nei contesti affollati in cui possono diffondersi malattie respiratorie virali.
- Pratichiamo le vaccinazioni disponibili per le malattie batteriche, ma anche per quelle virali, ricordando che una malattia virale può favorire successivamente una infezione batterica.
- Non sollecitiamo i medici a prescrivere antibiotici davanti a una banale influenza, un episodio febbrile di presumibile origine virale. Gli antibiotici contro i virus sono inutili e la gran parte delle infezioni respiratorie febbrili guarisce spontaneamente.
- Facciamo ricorso (su suggerimento del medico) a terapia antibiotiche solo quando necessario, seguendo le linee guida per una terapia ragionata e – se possibile – basandoci sulla scelta di farmaci individuati con esami appropriati (es. antibiogramma), evitando se possibile di usare gli antibiotici di ultima generazione per infezioni modeste.
*Fonte: CRE, sorveglianza nazionale delle batteriemie da enterobatteri resistenti ai carbapenemi, Istituto Superiore di Sanità, 2021.